Afghani al voto contro Karzai
Giuliano Battiston
Alla chiusura dei seggi hanno votato in 7 milioni di afghani, il 36% donne. I Talebani non sono riusciti a sabotare il processo elettorale come avevano minacciato.
«Sono stato il primo a votare. Ero davanti all’ingresso alle 6 del mattino. No, non ho paura dei Talebani. Rappresentano il passato, e noi dobbiamo pensare al futuro». Haroun Nayebzai mostra con orgoglio l’indice, macchiato d’inchiostro blu. È il segno che ha votato. Non potrà farlo due volte, almeno sulla carta: per impedire i voti multipli, gli uomini della Commissione elettorale indipendente fanno immergere il dito degli elettori nell’inchiostro, poi aggiungono uno spray che si illumina sotto la luce. Una doppia precauzione contro le frodi. Sostengono che sia efficace. Poco più che ventenne, Nayebzai è uno dei tanti osservatori legati ai candidati provinciali. Ieri infatti gli afghani hanno votato per il rinnovo dei 34 Consigli provinciali, oltre che per il successore di Hamid Karzai, al potere dal 2001. Prima che osservatore, Nayezbai si sente però un cittadino che crede nella forza del voto. «Per cambiare le cose, mandare a casa Karzai e far insediare Ashraf Ghani». È lui il candidato che va per la maggiore a Jalalabad, cuore della provincia di Nanagarhar a prevalenza pashtun, a pochi chilometri dal Pakistan.
Nella facoltà di Medicina a Nangarhar – trasformata in seggio elettorale – tutti dicono di aver votato per lui. I giovani soprattutto: Nasir Ahmad Shinwari ha 19 anni. Anche lui sembra riporre grandi aspettative nel tecnocrate, già funzionario della Banca mondiale e, in Afghanistan, ministro delle Finanze e responsabile della transizione, il processo con cui gli internazionali trasferiscono la responsabilità militare agli afghani. «È l’unico che può trasformare il paese. Gli altri candidati sono tutti corrotti o ex comandanti militari». Eppure anche Ghani si è scelto come eventuale vice-presidente un ex «warlord», Abdul Rashid Dostum, leader della comunità uzbeca, fondatore del partito Jumbesh-e-Milli, con le mani sporche di sangue. «È la politica: per vincere devi ottenere più voti possibili, e Dostum ne ha 3 milioni», replica con realismo Shinwari. Non appena finisce di parlare arriva il «pezzo grosso»: il nuovo governatore di Nangarhar, Attaullah Ludin, che sostituisce Gul Agha Sherzai, dimessosi per presentarsi alle presidenziali. Ludin entra nel seggio seguito da un codazzo di notabili, ufficiali della polizia e dell’esercito, giornalisti locali. Aspetta il collegamento televisivo da Kabul per riporre le schede nelle urne di plastica trasparente. Segue il discorso del capo della Polizia provinciale, il generale Fazel Hahmad Sherzad: «Mi assumo personalmente la responsabilità. Votate», dice.
Alle 16 locali, alla chiusura dei seggi, in tutta la provincia non viene registrato nessun attacco significativo. Nel paese i morti sono 10, distribuiti nelle varie province: i Talebani non sono riusciti a sabotare il processo elettorale come avevano minacciato. Una sconfitta per loro e un successo per gli afghani che hanno deciso di votare. Non sono soltanto i giovani ad averlo fatto. A un chilometro dalla facoltà di Medicina vengo accolto nell’ufficio elettorale di un candidato locale, l’ingegnere (qui il titolo conta) Haji Rais Khan. Ha buone probabilità di essere eletto. Dietro di lui ci sono infatti i notabili locali come Haji Gul Miran. È un malek, a metà tra il leader religioso e comunitario. Controlla uno dei distretti più turbolenti dell’intera provincia, Chaparhar, che fa quasi 60.000 abitanti. Siede su dei cuscini, insieme ad altri 6 anziani con la barba lunga. Mostrano il dito: hanno tutti votato. Non ce l’hanno con Karzai, che «ha fatto quanto poteva, il paese partiva da zero», ma vogliono voltare pagina. Uno di loro dice di aver votato per Ghani, «perché noi siamo vecchi, è tempo di dare spazio ai giovani, Ghani è l’unico che lo farà». Il malek Haji Gul Miran non concorda: «Ghani è competente, ma Dostum è un killer». Per lui il candidato migliore è Qutbuddin Helal, sostenuto da Gulbuddin Hekmatyar, leader del partito radicale islamista Hezb-e-Islami. «Tra tutti, è l’unico candidato che non è sostenuto dai paesi stranieri», dice il malek, che rivendica la militanza nel partito di Hekmatyar. «E’ l’unico che non firmerà il trattato militare con gli americani», aggiunge Haji Gul Miran, per il quale «è fondamentale avere buoni rapporti con gli stranieri, ma senza diventarne schiavi, e gli americani dove vanno fanno danni». Il candidato di Hekmatyar non verrà eletto, ma potrebbe posizionarsi al quarto, quinto posto.
In molti si dicono sicuri che nell’eventuale ballottaggio tra Ashraf Ghani e il dottor Abdullah, l’Hezb-e-Islami sosterrà Ghani. L’importante è che all’Arg, il palazzo presidenziale, non entri Abdullah, il rappresentante del Jamiat-e-Islami, il partito a prevalenza tajika, forte soprattutto al nord. «I tajiki non sono veri afghani, ma ormai vivono qui da molto tempo e li accettiamo», dice Haji Gul Miran. «Ma un presidente tajiko, questo no. Se dovesse vincere Abdullah, verrà lanciato un jihad contro di lui». Per lui, lo scettro del potere deve rimanere nelle mani di un pashtun. Come è da 200 anni a questa parte.
Fonte: il Manifesto
6 aprile 2014