Addio alla globalizzazione, torna di moda il protezionismo


Federico Rampini


Il Wall Street Journal lancia l’allarme: il mondo è più piatto. "Il neoliberismo è in crisi, è giunta l’ora di rallentare la marcia trionfale della globalizzazione".


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Addio alla globalizzazione, torna di moda il protezionismo

A prima vista è difficile trovare analogie tra Hillary Clinton, Baraci Obama e il presidente cinese Hu Jintao. In realtà questi leader, nonostante le differenze che li separano, condividono un’intuizione: il neoliberismo è in crisi, è giunta l’ora di rallentare la marcia trionfale della globalizzazione. La ritirata del mercato e la rivincita del dirigismo statale assumono forme diverse in ogni paese.
Ma la tendenza così netta da mettere in allarme The Wall Street Journal, la Bibbia quotidiana del capitalismo americano. “Il mondo non è più piatto”, sentenzia il quotidiano rovesciando il titolo del celebre saggio di Thomas Friedman. (Lo stesso Wall Street JournalI è una vittima del riflusso: comprato l’anno scorso da Rupert Murdoch che si appresta a liquidarne il gruppo dirigente, il giornale finisce nella pancia di un semi-monopolio, anche nell’informazione Usa la concorrenza si riduce). Dall’Ohio alla Pennsylvania e ora in vista dell’Indiana, i due candidati democratici alle presidenziali hanno capito che nell’America dei colletti blu travolti dalla recessione i voti si conquistano attaccando il Made in China e il Nafta: quell’accordo di libero scambio con Canada e Messico firmato da Bill Clinton, che segnò una tappa cruciale della globalizzazione. L’Inghilterra, patria storica del liberismo, ha nazionalizzato la banca Northern Rock travolta dalla crisi dei mutui: era dai tempi di Harold Wilson negli anni Sessanta che il Labor Party non osava tanto. Gorge Bush e il suo banchiere centrale Ben Bernanke non sono da meno. Insensibili a milioni di sfratti e pignoramenti di case delle famiglie meno abbienti, i repubblicani sono scattati in aiuto di Wall street quando l’SOS è arrivato dai banchieri. La Bear Stearns evita il fallimento finendo nelle braccia della J. P. Morgan: in realtà anche quello è un salvataggio di Stato, interamente garantito con risorse pubbliche e cioè i fondi della Federal Reserve. Un vero spartiacque, un evento senza precedenti, perché dal 1929 l’America ha una rete di salvataggio riservata alle banche – studiata per proteggere i piccoli risparmiatori – ma la Bear Stearns è una “Brokerage House” altamente speculativa, i cui clienti sono alte istituzioni finanziarie o grandi patrimoni. Di fronte ai cattivi esempi che vengono dalle roccaforti storiche del capitalismo, le potenze emergenti si adeguano. La Cina approfitta della crisi mondiale dei mutui per infiltrare il suo capitalismo di Stato nel cuore di Wall Street, Londra e Zurigo: a colpi di investimenti miliardari entra nei consigli d’amministrazione delle banche occidentali la China Investment  Corporation, “fondo sovrano” posseduto dalla banca centrale di Pechino (1.700 miliardi di dollari di riserve valutarie). In casa sua il governo cinese manipola apertamente le quotazioni della Borsa di Shanghai, per impedire che cada prima delle olimpiadi.  L’india, l’altro protagonista influente dell’Europa globale, frena la sua apertura ai mercati in un settore cruciale, vietando ai suoi agricoltori di esportare riso.  Perfino le elezioni italiane si possono inserire in questa tendenza. La paura dell’immigrazione – che gia ebbe un ruolo al no francese alla Costituzione europea del 2005 – ha favorito la Lega e Alemanno; Tremonti cavalca il protezionismo; Berlusconi blocca Air France al costo di scaricare un di nuovo un Alitalia decotta sul contribuente italiano. La destra italiana non ha mai creduto seriamente al mercato, adesso trova un alibi e una sponda nella revisione ideologica che serpeggia da Washington a Londra a Pechino. Segno dei tempi, la "libera" CNN ha dato in appalto all’anchorman Flou Dobbs per una crociata contro l’immigrazione. Anche ai vertici delle grandi istituzioni internazionali – gli arbitri della globalizzazione – il mutamento degli squilibri è evidente. Dalla Banca mondiale ha dovuto dimettersi il neoconservatore Wolfowitz, scivolato su uno scandalo sessuale ma soprattutto isolato nel suo iperliberismo. Al fondo monetario internazionale è arrivato un socialista francese, Dominique Strass Kahn, che predica aumenti di spesa pubblica per contrastare la recessione. Le cause di questa inversione di tendenza sono molteplici. La più ovvia è che la globalizzazione si è spinta molto avanti e prima o poi una battuta d’arresto era prevedibile. Il ciclo vittorioso del neoliberismo si può far risalire molto indietro. A metà degli anni Settanta avvengono le prime innovazione della deregulation finanziaria; nel 1979-80 le privatizzazioni di Margaret Thatcher e Ronald Regan. Nel 1989 cade il Muro di Berlino e s’impone il “pensiero unico”, il modello vincente è il mix fra liberldemocrazia e capitalismo. Due anni dopo l’India esce da una lunga esperienza di socialismo protezionista e vara le liberalizzazioni che lanciano verso lo sviluppo. Nel 1995 sulle ceneri del Gatt nasce il Sto e accelera l’abolizione delle barriere degli scambi. Nello stesso periodo l’Europa costruisce il suo mercato unico e ne prepara il coronamento finale con l’euro. .Le crisi finanziarie che alla fine degli anni 90 scoppiano in America Latina, nel sud-est asiatico, in Russia, danno all’Occidente un potere d’influenza smisurato: i governi in bancarotta sono costretti ad accettare i dicktat del Mi, il “pensiero unico” impone le ricette ai paesi emergenti. Il culmine è il 2001, quando il Cina fa il suo ingresso nel WTO: la nazione più popolosa del mondo, che sotto Mao Zedong fu il teatro dell’esperimento più radicale di comunismo, irrompe nell’area del capitalismo globale. Il 2001 è l’anno di tutte le contraddizzioni, contiene già i segnali del rflusso attuale. L’11 settembre impone all’America la sicurezza come priorità assoluta : ne soffriranno certe aperture all’immigrazione , e la fiducia nel multilateralismo .L’ingresso nella Repubblica Popolare nel Wto è una bomba a scoppio ritardato. Con il pasare degli anni mette in difficoltà industrie tradizionali e fasce di classe operaie in Occidente. L’invasione del made in China apre in casa nostra i varchi alla demagogia populista, che rpomette un futuro migliore se solo si fermano le lancette della storia, e si erige intorno ai nostri paesi una Grande Muraglia anticinese. Stati Uniti ed Unione Europea avevano spinto sull’accelleratore della globalzzazione quando erano convinti di ricavarne i maggiori benefici. Le sorprese sono clamorose e innescano dei ripensamenti. In seno al Wto europei e americani  scoprono di non essere più i padroni del gioco. Si forma un’alleanza dell’emisfero Sud del pianeta, capitanata da India e Brasile, che mette sotto accusa le politiche agricole di Washington e Bruxelles e pretende accesso ai mercati ricchi . I Paesi emergenti rimettono in discussione le regole quando le giudicano inique, e trovano alleati nel movimento alter-global o nelle ong umanitarie: è il caso de brevetti sui medicinali, dove India Brasile e Thailandia sfidano la Lobby dell’industria farmaceutica e sfornano prodotti “generici” ad una frazione dei prezzi occidentali. L’emergere di Cindia come il nuovo baricentro dell’economia globale ha un altro effetto choc che si riverbera a ondate progressive in tutto il pianeta: esplodono i consumi di enrgia e di alimenti, scatenandol’inflazione di tutte le materie prime dal petrolio a gas, dai metalli al legname, dal riso ai cereali. Nel settore energetico la penuria e l’impennata secolare dei prezzi sconvolge i rapporti di forza. Nei paesi produttori torna ad imporsi di prepotenza il ruolo dello Stato: dal Venezuela alla Russia è una catena di ri-nazionalizzazione. Si ridimensione il potere dei petrolieri occidentali: la Shell calcola che l’80% delle riserva petrolifere mondiali sono controllate da enti pubblici. Anche nel mercato agroalimentare la globalizzazione è vittima del suo successo. Grazie al boom economico dei loro paesi  centinaia di milioni di asiatici possono permettersi una dieta più ricca. Ma i raccolti non hanno tenuto il passo con questa esplosione dei consumi. Ecco perché i governi produttori erigono ostacoli all’export per sfamare in precedenza  i loro cittadini. Il Tibet e i giochi olimpici del 2008 segnano la caduta di un altro dogma del “pensiero unico” :l’idea di un automatismo dei diritti umani, l’illusione che lo sviluppo capitalistic generi di per sé democrazia. Il colpo di grazia alla lunga avanzata della globalizzazione è venuto dal centro del capitalismo finanziario,l’America. La crisi dei mutui subprime non ha finito di mietere vittime e di seminare danni. Un dato è ormai certo : quando i banchieri di Wall street e la classe operaia di Detroit convergono nel chiedere protezione allo Stato, è il segno che una fase storica sta cambiando.

Fonte: Repubblica

30 aprile 2008 

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