Adan ucciso dalle regole a 13 anni
Il Fatto Quotidiano
Il bimbo aveva trascorso diverse notti in strada, perché gli era stata rifiutata accoglienza nonostante la grave malattia e nonostante la famiglia avesse fatto domanda di protezione internazionale.
Un bambino di 13 anni che arriva dal Kurdistan iracheno, malato di distrofia muscolare dalla nascita e costretto sulla sedia a rotelle, non può dormire su un pavimento, né di una chiesa, né di un albergo, né tantomeno sotto un ponte. Non nella civilissima Bolzano, non nella provincia più ricca d’Italia.
Eppure è accaduto una decina di giorni fa al piccolo Adan, morto in ospedale una settimana dopo il suo arrivo in Italia. È stata aperta un’inchiesta con dieci medici indagati, le associazioni di volontariato hanno denunciato e hanno accusato la Provincia di Bolzano di aver emanato una circolare, la cui applicazione ha ostacolato l’assistenza al bambino e alla sua famiglia.
Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha chiesto di fare chiarezza sull’accaduto, mentre la Campagna LasciateCIEntrare racconta a ilfattoquotidiano.it che in tutta Italia continuano a morire vittime invisibili della ‘mala accoglienza’. E mentre veniva applicata la circolare della Provincia, le istituzioni più vicine cosa facevano? ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto all’assessore ai Servizi Sociali del Comune, Sandro Repetto. “È vero che ci sono comuni come il nostro che stanno vivendo una situazione di emergenza – ha risposto – è vero anche che non possiamo accogliere tutti e che abbiamo bisogno del sostegno dell’intero territorio, ma in questo caso c’è stata una falla di fronte alla quale non mi tiro certo indietro. In certi casi, più che l’applicazione di questa o quella circolare, bisogna utilizzare il cervello”.
LA STORIA DI ADAN – E bisogna sapere chi si ha di fronte. Chi era Adan? Insieme ai genitori e ai tre fratelli più piccoli di 6, 10 e 12 anni, il bambino era scappato nel 2015 da Kirkuk, a 250 chilometri da Baghdad ed era arrivato in Svezia, dove la sua famiglia aveva chiesto la protezione internazionale come rifugiata. Dopo due anni di attesa, la richiesta è stata rifiutata: o ritornavano tra le montagne del Kurdistan o cercavano asilo in un altro Paese. Hanno scelto l’Italia e il 1° ottobre sono arrivati a Bolzano. La prima notte Adan e la sua famiglia l’hanno passata sotto un ponte. Il giorno dopo hanno chiesto assistenza prima al servizio Consulenza Profughi della Caritas e poi a un’associazione di volontariato. Quella stessa notte Adan è stato portato all’ospedale San Maurizio di Bolzano per problemi di respirazione e dolori in tutto il corpo.
Il giorno dopo, il 3 ottobre, il padre e gli altri tre figli sono andati in Questura per la richiesta protezione internazionale. La notte loro hanno dormito in albergo, grazie all’associazione SOS Bozen che ha pagato la stanza, mentre Adan ha dormito in ospedale assieme alla madre. Mercoledì, dopo una visita, Adan è stato dimesso dall’ospedale e alla madre è stato detto che il ragazzino non aveva in quel momento problemi cardiaci. Lasciata la struttura sanitaria, la famiglia ha trascorso la giornata e quelle a seguire nel parco della stazione di Bolzano. Per la notte, con l’aiuto delle associazioni di volontariato, hanno trovato posto in un albergo, che però non era dotato di ascensore. E poiché Adan non poteva salire in camera, lui e il padre hanno dormito sul pavimento di una sala di un centro giovanile. Poi, di giorno, di nuovo nel parco della stazione e la notte su un altro pavimento, quello della chiesa evangelica, “l’unica – hanno denunciato le associazioni – ad aver aperto le porte”.
GLI ULTIMI GIORNI – Venerdì 6 ottobre è stata formalizzata la richiesta di protezione internazionale, ma in assenza di un mediatore linguistico-culturale. Dopo aver lasciato la Questura, mentre la famiglia si dirigeva alla mensa Caritas, a mettersi contro il destino di Adan anche le barriere architettoniche. Il bambino è caduto dalla sedia a rotelle ed è stato ricoverato in ospedale. E si è scoperto che era in atto un’infezione.
Il 7 ottobre Adan è stato trasferito dal reparto di Rianimazione a quello di Pediatria chirurgica, sotto morfina, ingessato a entrambe le gambe. Niente mediatore neppure in ospedale. Quella notte la febbre è salita e Adan è stato riportato in Rianimazione. I polmoni si sono riempiti di sangue. Poi non ha potuto più respirare ed è morto per arresto cardiaco alle 2.
L’INCHIESTA E LA DENUNCIA DELLE ASSOCIAZIONI – Sono dieci i medici dell’ospedale di Bolzano iscritti nel registro degli indagati per la morte di Adan. L’inchiesta della procura segue due filoni: oltre a quello per omicidio colposo che riguarda i due ricoveri in ospedale del 13enne e che vede indagati 10 medicidell’ospedale San Maurizio, si indaga anche per l’ipotesi di reato di omissione d’atti d’ufficio e la mancata accoglienza della famiglia in strutture ufficiali. Da subito le associazioni SOS Bozen e Antenne Migranti hanno denunciato che “il servizio Consulenza Profughi della Caritas ha segnalato alle istituzioni (Servizio integrazione sociale, commissariato del Governo, Provincia) la situazione della famiglia, ma l’unica risposta è stata che non potevano ricevere accoglienza a causa di una circolare firmata un anno fa dal direttore Ripartizione politiche sociali della Provincia Luca Critelli.
Con questa circolare la Provincia ha revocato la possibilità di essere accolti a tutti quelli che, benché vulnerabili, arrivano sul territorio dopo aver già fatto richiesta di asilo in altri Paesi. Insomma a tutti quelli non inviati direttamente dal Ministero. Sulla carta la famiglia di Adan, avendo scelto volontariamente di non rientrare in Kurdistan, non sarebbe più potuta rientrare nel circuito dell’assistenza. Ma in pratica era una famiglia con quattro bambini, di cui uno malato.
LA CIRCOLARE – Ma cosa dice la circolare? “Sono escluse dall’accoglienza temporanea quali soggetti ‘vulnerabili’ le persone presenti in altri Stati, europei e non, nei quali era presente la possibilità di chiedervi asilo, nonché le persone per le quali sia riscontrabile una presenza anche temporanea in altre regioni italiane”. Ecco fatto, chiuse le porte. Eppure nella circolare si legge: “Nel caso di famiglie o genitori singoli la possibilità di accoglienza è data in presenza di bambini di età inferiore a 14 anni”. Adan ne aveva 13. E ancora: “Per le altre situazioni di vulnerabilità previste dalla normativa i requisiti per lo status di soggetto vulnerabileandranno adeguatamente verificati e documentati nella proposta di accoglienza”. Già, verificati. Un accertamento che non c’è stato. Serviva altro tempo, che a Adan non è stato concesso. Un anno fa su questa circolare Sel depositò anche una interrogazione parlamentare. La Campagna LasciateCIEntrare continua a chiederne l’immediata revoca da parte della Provincia di Bolzano: “In questo caso si trattava di soggetti vulnerabili che dovevano essere accolti in ottemperanza alla normativa nazionale ed europea”.
L’Unhcr ha chiesto che vengano chiarite le responsabilità nella gestione dell’accoglienza a livello locale e che venga abrogata la circolare Critelli che limita il diritto all’accoglienza, in particolare per le persone vulnerabili, “in palese violazione della normativa sull’accoglienza delle persone portatrici di esigenze specifiche”. L’agenzia Onu ha fatto appello alla Provincia di Bolzano e al Commissariato di governo affinché vengano definitivamente chiarite le responsabilità nella gestione dell’accoglienza a livello locale.
L’ASSESSORE AI SERVIZI SOCIALI: “È VERO, C’È STATA UNA FALLA” – ilfattoquotidiano.it ha chiesto all’assessore alle Politiche sociali del Comune di Bolzano che opinione si sia fatto della situazione. “La circolare – ha detto – è una interpretazione restrittiva della normativa nazionale. Capisco le ragioni da cui parte, dato che le città di frontiera subiscono le conseguenze di richieste di asilo respinte da altri Paesi europei, ma è chiaro che in questa circostanza c’è stata una falla. Una serie di circostanze ed errori che hanno portato a drammatiche conseguenze”. Un caso estremo? “Sì lo era, ma andava verificato e non è stato fatto. Anche perché è stata applicata alla lettere la circolare, mentre bastava guardare le condizioni di Adan per comprenderne la vulnerabilità. È chiaro che qualcosa va rivisto”. Una storia drammatica che dà il polso di ciò che accade. “Il rischio è che questa diventi un’altra Ventimiglia – spiega Repetto -. Per questo abbiamo chiesto un aiuto a tutto il territorio della provincia dove ci sono più possibilità, rispetto al capoluogo, di accogliere queste persone. Pensiamo all’agricoltura piuttosto che al turismo”. In questi giorni c’è stato un incontro con la Provincia “con l’obiettivo di individuare uno sportello unico, anche attraverso la Questura e le associazioni di volontariato, per la gestione dei casi vulnerabili”.
NON SOLO ADAN – “Quella di Adan è sicuramente una storia particolare – spiega a ilfattoquotidiano.it Gabriella Guido, portavoce della Campagna LasciateCIEntrare – ma che si inserisce in una situazione purtroppo ordinaria, perché quanto accaduto a Adan in termini di mancata risposta da parte delle istituzioni, accade a molti”. Nelle ultime settimane sono almeno altri due i casi di ragazzi, soggetti vulnerabili, che hanno perso la vita a causa della mala accoglienza. “È successo in Calabria a un ragazzo affetto da tumore e in Puglia, a un altro giovane ospite di un centro che si lamentava da giorni. Sono stati abbandonati a loro stessi. Sono morti invisibili. E dato che non erano minorenni la loro scomparsa non ha fatto clamore”. Impossibile fare un censimento “perché molti non sono neppure registrati ed è facile per le istituzioni locali appellarsi alle leggi nazionali di riferimento e lavarsene le mani”. Queste storie ricordano quella di Ibrahim Manneh, un ragazzo ivoriano di 24 anni, morto la scorsa estate per ‘addome acuto’ all’ospedale Loreto Mare di Napoli, dopo un vero e proprio calvario tra visite in ospedale e farmacie, fino al rifiuto di un tassista di accompagnarlo all’ospedale senza l’autorizzazione della polizia. Tanto che il fratello e gli amici hanno dovuto caricarlo sulle spalle fino alla guardia medica. Da qui la corsa in ambulanza per raggiungere l’ospedale dove è morto poco dopo.
Luisiana Gaita | 20 ottobre 2017
Il fatto Quotidiano