Né a Dio né agli Uomini


Operazione Colomba


Suor Giovanna ci aspetta nel quartiere di Ndosho per visitare il campo profughi di Buhimba, situato a nord di Goma.


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Suor Giovanna ci aspetta nel quartiere di Ndosho per visitare il campo profughi di Buhimba, situato a nord di Goma. Arriviamo e seguiamo la suora che si fa accompagnare in un’ala del campo da dove si vede una parte di lago Kivu. Le 1000 famiglie che vivono qui (tra le 7000 e 8000 persone) erano scappate e si erano rifugiate alla fine di maggio nella parrocchia di suor Giovanna quando i ribelli dell’M23 avevano lanciato delle bombe, alcune di queste cadute proprio nel quartiere di Ndosho.

Ci sediamo e tutte le persone ci vengono intorno per raccontarci la loro storia. Dopo gli attacchi, dalla parrocchia sono andati a Keshero in un campo provvisorio, di transizione. Lì si erano appoggiati in un campo sportivo per tre settimane ed erano stati muniti di cibo e servizi sanitari. Poi li hanno spostati a Buhimba dove “vivono” da due settimane con poco cibo e senza servizi igienici e sanitari. L’acqua vanno a recuperarla al lago, dove ovviamente tutti si lavano. Quando sono arrivate le ONG hanno distribuito ad ogni famiglia (quelle africane sono numerose) due scodelle di chicchi di granoturco da macinare, una scodella di fagioli e una mini scatolina di alluminio, tipo quelle del pomodoro, riempite con olio: tutto ciò dovrebbe bastare per 15 giorni. Ovviamente loro non hanno nulla per macinare il granturco! Il cibo viene spartito secondo il numero dei componenti di una famiglia. Il 15 e il 30 di ogni mese ciò che viene distribuito non riesce a sfamare la popolazione.

Le persone che intervengono a questa “assemblea” provvisoria arrivano da Muja, Mutaho, che dista una dozzina di chilometri da Goma, e Kibati, 20 chilometri a nord di Goma. Ci raccontano che a Mutaho avevano case e terre, ma che ora è difficile andare a vedere com’è la situazione. Pare che il loro villaggio sia occupato su un versante della montagna dall’M23, e sull’altro versante dalle FARDC (Forze armate della Repubblica Democratica del Congo). Le notizie che arrivano sono preoccupanti: una scuola distrutta, la chiesa a cui sono state tolte e rubate le porte, le loro case fatte di paglia sono state svaligiate, e del campo pronto a fagioli non è rimasto più nulla. Sia i militari dell’M23 sia l’esercito regolare saccheggiano. Un militare dell’esercito viene pagato 40 dollari al mese e quindi, non bastandogli lo stipendio, ruba ciò che trova. Regolari e ribelli si comportano allo stesso modo. Anche a Muja le case sono state svaligiate e anche lì sono state portate via le porte di legno, che servono per fare il fuoco e quindi per cucinare. I profughi sono riusciti a salvare i campi di fagioli la settimana dopo che sono partiti; le donne raggiungevano il villaggio la mattina per ritirare il raccolto. Qui, i soldati regolari hanno svaligiato tutto l’ufficio della chiesa, le porte e tutto quello che hanno trovato di utile. La sola soluzione che prevede il signore di Muja è quella di liberare il loro villaggio dal dominio dell’M23.
Suor Giovanna ci introduce come colombe che portano la pace e lavorano per la sua ricostruzione insieme alla gente. Il signore che parla afferma che loro sono ignoranti e che non conoscono altre strategie. Vorrebbero essere formati, avere qualche linea guida per creare qualche azione di pace. Non sanno niente, chiedono formazione di base per reagire senza utilizzare la violenza. Non hanno e non vogliono le armi. Non sanno quali azioni intraprendere. Dicono basta alla guerra e alla violenza.
Non hanno speranza di uscire dal campo profughi perché:

le trattative di Kampala partite a dicembre tra il governo e l’M23 sono state interrotte.

La missione ONU è presente dal ‘99 ma le persone sono scettiche perché non hanno visto miglioramenti: la guerra va avanti e la gente continua a morire.

Kabila dice per radio e televisione che porterà la pace e invece loro continuano a vedere la guerra.

Le autorità americane sono venute, hanno promesso la pace e un accordo tra le milizie e il Governo. Quando però hanno lasciato il Paese, i congolesi sono dovuti scappare dalle loro terre a causa degli scontri. I congolesi si domandano se sia una strategia per ucciderli senza fucile.

Non hanno più speranze: né in Dio, né negli uomini.
Suor Giovanna interviene con una piccola predica: anche lei non crede in “certi” uomini, tipo il Presidente, ma in Dio continua a crederci, e accende un po’ la speranza assopita degli uomini e donne presenti. Spiega che noi colombe non siamo come tante organizzazioni internazionali, ma che siamo dei volontari pronti a vivere con la gente. Loro chiedono una maggiore pressione presso gli organismi per avere acqua e servizi sanitari. Suor Giovanna spiega loro che dovremmo trovare insieme una via d’uscita, per esempio, andare davanti all’ufficio del governatore per un’azione pacifica. Poi interviene un signore di Kibati: nel suo villaggio ha una collina coltivata a patate e granturco ma gli hanno detto che l’M23 farà mangiare tutto alle mucche. Per loro sarebbe importantissimo tornare nelle proprie case.
Nel campo profughi chiedono pace e di conoscere strategie per ottenerla. Non è venuta né la croce rossa, né Medici Senza Frontiere: i malati vengono trasportati in una barella fatta di assi di legno e portati al centro di MSF, nella strada principale, a qualche chilometro dal campo di Buhimba. I malati hanno diarrea e malaria, ma presto arriverà anche il colera se le condizioni non cambieranno.
Prendiamo la strada del ritorno lasciando il campo profughi dietro di noi, ma nel nostro cuore sarà difficile dimenticare questo dolore e il volto delle persone incontrate. La loro speranza perduta deve spingerci ad agire per ottenere un cambiamento, e a riaccendere in loro quella fiamma di speranza che sembra essersi assopita.

Fonte: www.operazionecolomba.it
19 ottobre 2013

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