Lampedusa: morti, lacrime e impotenza
Il Fatto Quotidiano
Non è la sconfitta che pesa; è l’impotenza. Ma anche la rabbia. Contro chi parla di solidarietà, di umanità, di morale; e che si ferma lì: cosa fare non li riguarda.
Non è la sconfitta che pesa; è l’impotenza. L’anno prossimo a Gerusalemme, dicevano gli ebrei. Ma quando si sa che un anno prossimo non ci sarà, che non si può fare niente, che i 300 morti di Lampedusa e quelli di ieri saranno 3.000 domani; è allora il momento più buio: quando non si vede nemmeno più un barlume di luce. Eppure l’obiettivo è chiaro; ed è anche condiviso da tutti: mai più. Mai più morti in mare, su una barca che li porta a una terra promessa di cui tante Lampedusa sono la porta. Mai più campi di concentramento, pudicamente nascosti sotto sigle diverse (Cie, Cpt), dove detenere in condizioni inumane gli scampati al mare. Mai più processi per reati assurdi giuridicamente e inaccettabili eticamente quali il soggiorno illegale nel territorio dello Stato. Mai più questa vergogna. Certo, mai più. Tanto le parole non costano niente. E poi la gente le beve con avidità: un fastidioso senso di colpa è molto diffuso. E dirsi “che vergogna” aiuta a liberarsene, a pensare ad altro. Ho fatto quello che potevo, ho preso posizione, mi sono indignato. Certo, adesso faranno qualcosa, non possono non farla. Cosa?
Si possono impedire le migrazioni? Lo si può impedire a gente che vive in condizioni tali rispetto alle quali costituisce alternativa accettabile lavorare come bestie per anni per pagarsi un viaggio allucinante tra montagne e deserti, in barconi semidemoliti, senza cibo né acqua, con donne e bambini, perfino con donne incinte? Ovviamente no. E infatti non ci si riesce. Si possono stipulare accordi con gli Stati da cui questa gente proviene per evitare la migrazione? Ovviamente no. Come si può pensare di accordarsi con Assad, Gheddafi, Mubarak, i capitribù che hanno sostituito il primo e gli integralisti musulmani e i militari che hanno sostituito il secondo? Si possono stipulare trattati con Mali, Sudan, Etiopia, Eritrea e Paesi simili? E se anche si inviassero risorse economiche per migliorare le condizioni di vita di questi Paesi (il che, del resto, già avviene con i cosiddetti aiuti umanitari), si può pensare che di esse non si approprierebbero i vari tiranni che se ne sono appropriati finora?
Allora è ovvio che la migrazione continuerà; anzi aumenterà fino a diventare inarrestabile, come è sempre successo, fin dall’alba dell’uomo. Dunque bisognerà disciplinarla, organizzarla, assorbirla. Come? Certo, non accettando (sperando, forse?) che affoghino e chiasso finito. Bisogna soccorrere, ospitare, inserire, garantire vita e lavoro. In Italia? Dove c’è un tasso di disoccupazione del 12 % e del 40 % per la disoccupazione giovanile (cioè sotto i 35 anni!)? In Europa, ovviamente quella del Nord, quella ricca, privilegiata? Sì d’accordo, ma poi? Quella non li vuole. Ringrazia Dio ogni giorno perché le porte del Mediterraneo sono in Italia, Spagna, Grecia. Fatti loro. Che vergogna, 300 morti, l’Italia (l’Italia) deve fare qualcosa. Mandiamo un po’ di soldi per la sezione italiana del Frontex (European Agency for the Management of Operational Cooperation at the External Borders of the Member States of the European Union), nome altisonante per un’organizzazione impotente.
Ma forse 300 morti sono un argomento forte. Forse la vergogna arriva fino al Baltico, magari anche nell’Oceano Glaciale Artico. D’accordo Italia, seleziona, dividi i migranti politici da quelli economici e dai delinquenti e terroristi. Tieniti i politici che hanno diritto di asilo; metti in carcere i delinquenti e i terroristi; e poi studieremo come dividerci quelli che restano. Sia chiaro, non l’ha ancora detto nessuno. Ma proprio nessuno. Ma supponiamo che, rossa per la vergogna, la Ue pensi che qualcosa si deve pur dire. E supponiamo che dica questo; che altro potrebbe dire? E a questo punto cosa si fa? È ovvio, per prima cosa si costruisce un gigantesco Cie, anzi, chiamiamolo con il suo nome, un campo di concentramento. Anzi, parecchi, perché i migranti non arrivano solo dal mare; anzi, da lì arriva solo il 15 %; gli altri arrivano con visti turistici o comunque via terra. Quindi bisognerebbe “rastrellarli” tutti (la parola fa venire i brividi), metterli nei campi, identificarli, separarli etc. Identificarli? Come? Niente documenti (vero o no che sia), documenti falsi, dichiarazioni dubbie: vengo dalla Siria, dal Marocco, dalla Somalia, mi chiamo… Impronte digitali, richieste al presunto Paese d’origine… Quando risponderanno? Ma poi, risponderanno? E comunque, quanto tempo ci vorrà? E intanto?
Nei campi di concentramento naturalmente. Altro che i 18 mesi previsti dalla legge, qui l’unità di misura sarebbero gli anni. In Italia ci sono circa 700. 000 immigrati irregolari e aumentano al ritmo del 2 % all’anno (Istat 2010). Dunque dovremmo tenere in campo di concentramento circa un milione di persone per una media di 2 anni a testa, se va bene uno e mezzo. E, a parte ogni altra considerazione, parlandone come se non fosse una cosa ripugnante, chi paga? La detenzione (cosa altro è?) costa 113 euro al giorno per ogni detenuto (ministero Giustizia). I campi di concentramento ci costerebbero più di 41 miliardi di euro all’anno. E io sospetto che la Ue si quoterebbe volentieri per pagarceli. Impotenza. Ma anche rabbia. Non contro i migranti, naturalmente. Contro chi parla di solidarietà, di umanità, di morale; e che si ferma lì: cosa fare non li riguarda. Contro chi se la prende con la legge. Che è scritta male, ovviamente; ma chi è in grado di scrivere leggi adatte a regolamentare la storia? Contro tutti, alla fine. Che è un modo ancora più doloroso di sentirsi impotenti.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
12 ottobre 2013