Arriva Kerry, le ruspe israeliane non si fermano


Michele Giorgio - Near Neast News Agency


Netanyahu sfida gli USA e procede con la colonizzazione. Il segretario di Stato in Giordania per la questione siriana: conferenza diplomatica o consiglio di guerra?


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Un occhio all’Iran, l’altro alla Siria. Vendita di armi nel Golfo. Briciole per il «negoziato» israelo-palestinese. Potrebbe riassumersi così la nuova missione cominciata ieri da John Kerry in Medio Oriente. Annunciato come la «madre» di tutti i tentativi di rilancio della trattativa tra il premier israeliano Netanyahu e il presidente palestinese Abu Mazen, il viaggio del Segretario di Stato punterà su ben altri obiettivi.

Anche perché Kerry non ha ottenuto nulla da Netanyahu. Sperava di strappare al primo ministro di Israele una moratoria di qualche mese sull’espansione delle colonie ebraiche nei Territori occupati palestinesi, in modo da salvare la faccia a un Abu Mazen pronto a tornare subito al tavolo delle trattative. A maggior ragione ora che la “presidenza qatariota” della Lega araba ha modificato il piano (saudita) del 2002 da «terra per la pace» a «scambi territoriali» tra israeliani e palestinesi.

Una formula che permetterebbe a Israele, nel quadro di un accordo definitivo, di annettersi ampie porzioni di Cisgiordania occupata e la zona araba di Gerusalemme. Eppure Netanyahu non arretra, neanche di un metro. Ai colloqui vuole andarci senza fare alcuna concessione e, soprattutto, senza fermare neanche per un giorno le ruspe che spianano i terreni palestinesi dove si espandono le colonie di Israele. Dato che la (ipotetica) conferenza regionale su Israele/Palestina è improbabile e, in ogni caso, si prevede priva di sostanza, Kerry in Medio Oriente è tornato per Iran e Siria e per assicurare alle industrie belliche americane nuovi profitti.

Gli Stati Uniti hanno raggiunto un accordo con il sultanato dell’Oman per la vendita di un sistema antimissile per un valore di 2,1 miliardi di dollari. A Mascate ieri era prevista la firma della lettera di intenti tra l’Oman e l’americana Raytheon, industria con il fatturato estero superiore a qualsiasi altro grande produttore di armi degli Stati Uniti che prevede quest’anno una “espansione” del 20%. «Uno degli obiettivi della missione (di Kerry) c’è quello di fare avanzare gli interessi commerciali americani e mostrare quanto l’Oman sia importante per gli Usa», ha spiegato un funzionario dell’Amministrazione Obama. Il sistema antimissile dovrebbe proteggere l’Oman, una delle petromonarchie strette alleate di Washington, dalle possibili ritorsioni della “nemica” Tehran in caso di un attacco contro le centrali nucleari iraniane (da parte degli Usa o di Israele).

L’Oman si trova di fronte l’Iran, sullo stretto di Hormuz, attraverso il quale passa il 40% della produzione petrolifera mondiale. «L’Oman non è un attore chiave sulla crisi Siria ma è attore importante nel Golfo, sarà fondamentale conoscere la sua posizione sulla situazione nella regione», ha spiegato lo stesso funzionario americano. A maggior ragione se «l’attore importante», il sultano Qabous, è pronto a pagare oltre 2 miliardi di dollari alla Raytheon.

Da Mascate Kerry proseguirà per la Giordania e domani e venerdì sarà in Israele e Cisgiordania. Nel fine settimana andrà in Etiopia, ad Addis Abeba, per partecipare al 50/mo vertice dell’Unione Africana. La tappa giordana è fondamentale. Il Segretario di Stato incontrerà i rappresentanti dei Paesi alleati e dell’opposizione siriana (che il 23 si riunisce in Turchia). Ufficialmente il meeting rientra nei preparativi per la conferenza internazionale sulla Siria, decisa da Mosca e Washington, in programma per il mese prossimo a Ginevra. Potrebbe invece rivelarsi un consiglio di guerra.

Gli Usa e le petromonarchie guardano con preoccupazione ai riflessi diplomatici dei recenti successi militari che l’Esercito governativo siriano sta ottenendo contro i ribelli. Più Bashar Assad vincerà sul terreno e meno i capi dell’opposizione potranno pretendere, per partecipare alla conferenza internazionale, che il presidente siriano sia escluso totalmente dal tavolo delle trattative sul futuro della Siria. Ad Amman perciò Kerry e gli “alleati” potrebbero decidere (o creare) le condizioni per un intervento militare volto a contenere la superiorità militare (in particolare quella aerea) di Damasco, a cominciare dall’imposizione di una “no-fly zone” sulla Siria.

Fonte: Nena News

22 maggio 2013

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