Migrazioni: numeri e spese di un sistema di controllo inutile


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56 sbarchi dall’inizio dell’anno, soprattutto a Lampedusa: Libia, Grecia, Egitto e Tunisia sono state le nazioni di partenza della gran parte dei migranti.


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L’8 maggio scorso un articolo pubblicato sul’Avvenire, a firma Domenico Marino, titolava “Ripresi gli sbarchi – Meta: la Calabria”, con il sottotitolo “I barconi evitano l’isola di Lampedusa”. Cinque giorni dopo Maroni, ex ministro dell’Interno, su La Repubblica, parla di messaggi preoccupanti della Kyenge e aggiunge che “..sarà un caso ma a Lampedusa sono già ripresi gli sbarchi”. Senza alcuno spirito polemico, ma soltanto per una corretta informazione, vorrei ricordare che, in realtà, gli sbarchi, anche nel 2013, non si sono mai interrotti ( 56 dall’inizio dell’anno sino al 21 aprile) e Lampedusa, anche in questi primi mesi, è stato l’approdo per ben 1.868 migranti sul totale di 3.216 sbarcati sulle nostre coste.

Libia, Grecia, Egitto e Tunisia sono state le nazioni di partenza della gran parte dei migranti. La Puglia ha registrato, in questi primi mesi, un incremento (485) rispetto allo stesso periodo del 2012 (341), la Calabria un decremento (223) sempre rispetto al 2012. A fine anno si vedrà quale sarà stato il reale andamento. Qui preme soltanto cercare di capire se lo straordinario e onerosissimo impegno che sta sopportando il nostro paese e l’UE (con l’agenzia Frontex) in termini di risorse umane, spese nelle forniture di materiali e mezzi, di assistenza tecnica, di corsi di addestramento ecc..ad alcuni paesi africani, in particolare a Libia e Tunisia, abbia un riscontro reale nel “controllo” della frontiera sud dell’Unione Europea.

In questo quadro va anche tenuto nella dovuta considerazione il fatto che, nonostante gli accordi sul punto con i due paesi citati, rinnovati negli ultimi anni, dopo le turbolenze che li hanno visti interessati, la situazione non appare granché soddisfacente. Si pensi, ad esempio, che, da alcuni giorni, i palazzi ministeriali libici sono circondati dalle milizie armate che chiedono le dimissioni del presidente. Equilibrio politico incerto anche in Tunisia, con il rimpasto del Governo dopo l’omicidio, a febbraio di quest’anno, di un esponente di spicco dell’opposizione del fronte popolare. Sono questi i due paesi con i quali interloquire per cercare di controllare le migrazioni via mare. Libia e Tunisia non hanno certo accettato “gratuitamente” di riprendersi i migranti partiti dalle loro coste. Nella fattispecie del risarcimento per i danni del colonialismo ( ma anche per aumentare i controlli sui migranti) l’Italia si è impegnata a versare all’ex colonia 5miliardi di euro in 25 anni.

Quattrocentosessantotto milioni di euro sono già stati versati nelle casse libiche. Senza contare che dal 2003, in ragione di un accordo stipulato con Gheddafi dall’allora ministro dell’Interno Amato, iniziarono le consegne, gratuite, di decine di gommoni, fuoristrada, autobus Iveco e …1000 sacchi per cadaveri. A ciò si aggiungano le spese, sostenute sempre dal nostro paese, per i voli di rimpatrio della Libia di migliaia di stranieri verso quei paesi in guerra, da dove i migranti erano fuggiti in quanto oppositori o perseguitati. Fiumi di denaro italiano, ancora, per ripristinare condizioni accettabili nei Centri di accoglienza per gli immigrati di El Twesha, di Misurata e altri, per realizzare un sistema di gestione dati per l’anagrafe civile, per un sistema satellitare di controllo dei confini libici (all’esame del nostro Ministero della Difesa), per rimettere in efficienza motovedette e imbarcazioni varie donate nel tempo.

Per la sola Tunisia è prevista una spesa di circa 180milioni di euro (secondo le ordinanze della Presidenza del Consiglio dei Ministri n.3924, 3951 e 3965 rispettivamente del 18 febbraio, 12 luglio e 21 settembre 2011), per l’acquisto di forniture e per corsi di formazione (tenuti in Italia), riservati a personale della sicurezza tunisino. Negli anni 2009/2010 la Tunisia ha, inoltre, ricevuto forniture per un importo complessivo di 2.548.015 euro, mentre, dal maggio 2011 e sino alla fine del 2012, sono proseguite le consegne di numerosi mezzi e imbarcazioni. Altri 62.146.056 euro sono stati utilizzati per fornire mezzi ed altro materiale a diversi paesi africani (Egitto, Ghana, Gambia, Niger, Nigeria, Gibuti, Algeria, Senegal), sulla scorta di accordi bilaterali.

Il 40% circa del budget di Frontex (oltre 90milioni di euro l’anno), è destinato al pattugliamento delle frontiere marittime. Un paio di mesi fa, a Roma, presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, si è svolto un incontro per definire gli aspetti operativi delle costose operazioni in mare Hermes ed Aeneas 2013. Se l’obiettivo, come espressamente indicato nelle note del Ministero dell’Interno, era quello di “..incrementare le capacità operative delle forze di sicurezza (…)mettendole nelle condizioni di impedire la partenza dei loro connazionali per l’Italia…”, non mi pare sia stato raggiunto. Gli sbarchi proseguono (certo non è l’emergenza del 2011) e tutto fa pensare che non si fermeranno affatto le partenze dalle coste africane che potrebbero essere anche “agevolate” (il sospetto è legittimo) dalle stesse autorità alle quali stiamo fornendo materiali ed altro, soprattutto quando, da parte italiana, si registrano ritardi e/o dimenticanze sugli accordi presi. Fatto è che dal primo gennaio 2013 al 21 aprile u.s., dalla Libia sono giunti sulle nostre coste 567 migranti mentre nello stesso periodo del 2013 sono stati 1.910, cioè più del triplo; dall’Egitto 178 nel 2012 contro i 538 di questo periodo del 2013 e dalla Tunisia 401 a fronte dei 153. Il gravoso sforzo finanziario che sta sostenendo l’Italia verrà compensato privilegiando gli interessi dei nostri operatori economici presenti nei paesi africani? Può darsi, ma non si può tollerare che la Libia decida di “aprire il rubinetto” dei flussi migratori per sollecitare l’Italia (e l’Unione Europea) a rispettare i patti minacciando, altrimenti, le “invasioni” di stranieri.

Piero Innocenti

Fonte: www.liberainformazione.org
17 maggio 2013

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