Acqua pubblica, l’esempio di Napoli
Alex Zanotelli
È con grande gioia che saluto la decisione del comune di Napoli di trasformare l’Azienda risorse idriche Napoli, una Spa a totale capitale pubblico, in Abc (Acqua bene comune) Napoli, Azienda speciale.
Decisione già presa, quasi all’unanimità, dal consiglio comunale di Napoli il 26 ottobre 2011, in seduta plenaria e alla presenza dei comitati dell’acqua. A far ritardare di un anno il voto sono state le pressioni dei potentati economico-finanziari.
Se si è riusciti ad arrivare alla gestione pubblica dell’acqua, dobbiamo ringraziare l’impegno, durato otto anni, dei comitati cittadini napoletani e campani. Tutto inizia nel 2004 quando 136 comuni delle province di Napoli e Caserta (ATO2) decidono di privatizzare il servizio idrico. I comitati, con una energica campagna, obbligano i sindaci a votare il 31 gennaio 2006 la ripubblicizzazione dell’acqua di ATO2: decisione storica che non diviene però operativa. La vittoria referendaria (giugno 2011) dà il colpo d’ala necessario ad arrivare all’Abc-Napoli, grazie all’impegno dell’assessore Alberto Lucarelli e l’appoggio del sindaco Luigi De Magistris.
Napoli diviene così la prima grande città che decide di obbedire al referendum. Napoli, che ha una così cattiva stampa, diventa oggi esempio da seguire. Ci aspettiamo che Venezia, Trento, Palermo, Milano… facciano altrettanto.
Tutti i “comitati acqua” d’Italia facciano pressione perché i comuni passino alla gestione pubblica, utilizzando la formula dell’Azienda speciale. Napoli ha dimostrato che si può fare. È un passaggio fondamentale per la nostra stessa democrazia. Solo se le comunità locali potranno decidere sui beni comuni fondamentali – acqua, aria, energia e terra – ci potrà essere vera democrazia. Abbiamo bisogno di tante vittorie locali per forzare i partiti e il governo Monti a rispettare il referendum.
È grave che, in questa stagione elettorale, il tema dell’acqua non sia oggetto di dibattito. Tutti i partiti manifestino la loro posizione sull’acqua. Vale anche per le elezioni europee previste per il 2014. La lotta va riportata a Bruxelles dove le istituzioni comunitarie risentono dell’enorme pressione delle multinazionali dell’acqua, da Vivendi a Coca Cola, da Suez a Pepsi, che finanziano buona parte dei quindicimila lobbysti al lavoro in quella città. Per questo è nata la Ice (Iniziativa dei cittadini europei), un movimento sorto dal basso per costringere il parlamento europeo a porre le risorse idriche fuori dalle logiche di mercato.
L’Ice, introdotta dal Trattato di Lisbona, assegna ai cittadini il diritto di proporre alla Commissione europea atti legislativi sulle politiche di propria competenza. Per formalizzare la proposta sono necessarie un milione di firme, raccolte in almeno sette paesi Ue. Diventa quindi sempre più importante lavorare in rete. È quanto abbiamo tentato di fare al “Forum di Firenze 10+10” (8-11 novembre) rafforzando la rete europea dei comitati che lavorano perché il parlamento europeo proclami l’acqua un diritto. La raccolta di firme da portare a Bruxelles è aperta sia in forma cartacea sia in internet(www.right2water.eu).
In Italia è importante poi l’impegno contro la costituzione della mega multiutility del nord che ingloberebbe le varie aziende locali, da A2A a Hera, per formare un mostro finanziario che gestirebbe i servizi anche idrici di tutto il nord. Su questo, il Forum dei movimenti dell’acqua ha manifestato il 15 dicembre a Reggio Emilia.
Diamoci da fare perché la situazione climatica mondiale sta peggiorando. Lo dice il rapporto rilanciato il 18 novembre dalla Banca mondiale: entro la fine del secolo vi sarà un aumento medio di 4 gradi, che diventano 6 per Usa e paesi del Mediterraneo. Ciò avrà conseguenze gravissime per l’acqua potabile, che andrà sempre più scarseggiando a fronte di una popolazione in crescita. Ecco perché le multinazionali e la finanza vogliono mettere le mani sull’oro blu: per fare lauti guadagni a spese di milioni di morti di sete.
Fonte: www.nigrizia.it
2 gennaio 2012