Donne e Mediterraneo: una “Primavera” ancora da conquistare
Anna Toro - unimondo.org
Un’esortazione universale. Egitto, Libia, Tunisia, ma anche Siria, Bahrein, Algeria, Yemen, Marocco e non solo: le donne continuano a lottare per fermare l’avanzata del passato che ritorna.
“Ci vorranno molti altri sacrifici, sarà una lunga battaglia, forse si dovrà versare altro sangue”. A parlare, durante un recente incontro a Roma organizzato dall’associazione Donne & Società, è Gameela Ismail, giornalista egiziana che per oltre 10 anni ha lottato contro la dittatura di Mubarak in Egitto e l’ereditarietà del potere, e tuttora continua a battersi per la democrazia e i diritti delle donne nel suo Paese.
Le sue battaglie e aspirazioni, infatti, si uniscono a quelle di tutte le altre donne che, durante quel periodo incredibile che sono state le “primavere arabe”, hanno dimostrato di poter fare la differenza e di poter essere il motore delle rivendicazioni di libertà, diritti e democrazia del proprio popolo. Finalmente in prima linea, donne di ogni ceto e di ogni età sono diventate paradigma di cambiamento e protagoniste di processi che sono insieme di riscatto della loro dignità e di risveglio democratico. La strada però, come testimoniano le parole iniziali di Gameela Ismail, è ancora lunga e la maggior parte di loro oggi si trova, chi più chi meno, a fare i conti con aspettative e promesse tradite.
“Ho passato 3 settimane negli Usa per monitorare le elezioni ma al mio rientro in Egitto ho trovato di nuovo la tortura, i giovani per le strade, le manifestazioni per i diritti, le violenze – racconta Ismail, che oggi si definisce molto meno ottimista rispetto a poco tempo fa –. Questo governo va a braccetto con le tendenze dell’ala conservatrice e retrograda del Medio Oriente, anche per quanto riguarda le donne, in tutti i suoi aspetti. Dopo la rivoluzione c’erano stati dei segnali positivi, ma alla fine le donne non hanno raggiunto ciò che in realtà meritavano, sono tutt’oggi marginalizzate, e subiscono violenza e manipolazione da parte della società. Nonostante tutte le promesse, si è preferito tenerle fuori”.
I dati che riporta confermano la tendenza: le candidate elette per il parlamento egiziano sono state il 2%, e alla Commissione di revisione della Costituzione solo il 6%. Inoltre, non solo le donne sono ben lontane dal ricevere lavori importanti, ma quando una donna deve testimoniare in un tribunale, due donne valgono un uomo. “Le discriminazioni sono ancora tante, sempre le stesse, e confermano la situazione presente – puntualizza Ismail – Se la minaccia del presidente dei Fratelli Musulmani Morsi di attribuirsi maggiori poteri fosse vera, prevedo un ulteriore peggioramento per tutti”.
Certo qualche risultato positivo c’è stato, e la situazione post-primavera delle donne nell’area del Nord Africa e del Mediterraneo varia da Paese a Paese. In Tunisia, ad esempio, sono riuscite ad imporre sia le quote rosa al 50% sia l’alternanza uomo-donna negli elenchi delle liste, e hanno partecipato in modo molto attivo alla campagna elettorale. Se alla fine le donne capolista solo state solo il 7%, meglio è andata per quanto riguarda la presenza nell’Assemblea nazionale costituente in cui siedono 58 donne, ovvero il 26%.
C’è la Libia, che dopo 40 anni di dittatura, e una rivoluzione tramutatasi poi in guerra vera e propria, ha visto una grande crescita della partecipazione delle donne nella vita politica e civile del Paese. Amina Megheirbi, eletta con The National Force Alliance, spiega che alle ultime elezioni le donne andate alle urne sono state tra il 40 e il 50%, mentre i seggi conquistati in parlamento sono stati 33 su 200, il 16,5%.
“Ma – continua – per capire il ruolo della donna durante questo processo di transizione democratico dobbiamo considerare la situazione prima del 17 febbraio, data dello scoppio delle rivolte”. Megheirbi racconta che durante il regime di Gheddafi le donne venivano sfruttate e utilizzate solo come propaganda per la sua immagine. “Erano le sue guardie del corpo e lo circondavano in ogni apparizione pubblica”. Anche le leggi emanate nei confronti delle donne erano pura propaganda, e non venivano mai messe in pratica pienamente: dal 1977 al 2003, solo due donne hanno occupato posizioni nei gabinetti libici e solo sei donne hanno fatto parte del parlamento generale del popolo.
“Il fatto è che molte, pur essendo molto attive in ambito lavorativo, hanno sempre cercato di tenersi lontano dalla scena politica – continua la parlamentare – Questo fino al 15 febbraio, quando una manifestazione condotta da un gruppo di donne di fronte alla sede della polizia per chiedere la liberazione del loro avvocato, al grido di Svegliati Bengasi, ha praticamente innescato il processo rivoluzionario, e ben due giorni prima del fatidico 17. Poiché prima erano in ombra, quando hanno assunto un ruolo incisivo nella rivoluzione hanno sorpreso il mondo”.
Oggi le donne che fanno politica in Libia sono aumentate esponenzialmente, ma ovviamente c’è ancora molto da fare. “Gli ostacoli maggiori, a parte una situazione sociale e politica ancora molto instabile, sono la forte pressione sociale e le tradizioni persistenti, più l’eredità di 40 anni di regime di Gheddafi – spiega Megheirbi – Cambiare questi stereotipi richiederà molto tempo, ma proprio per questo dobbiamo iniziare subito”.
Un’esortazione universale. Egitto, Libia, Tunisia, ma anche Siria, Bahrein, Algeria, Yemen, Marocco e non solo: le donne delle primavere arabe continuano a lottare per fermare l’avanzata del passato che ritorna. “Le persone, e le donne in particolare, sono scese nelle strade innanzitutto per liberare se stesse – commenta ancora la giornalista egiziana Gameela Ismail – nonostante i problemi odierni, ci sono state e ci sono storie molto promettenti, e i movimenti per la libertà e il cambiamento continuano, a prescindere dal numero dei seggi e dei posti in parlamento”. E termina: “Oggi stiamo combattendo in queste sabbie mobili post-rivoluzionarie, ma sono sicura che a lungo andare troveremo delle donne abbastanza forti da prendere il timone di questo processo verso la libertà e l’emancipazione”.
Fonte: www.unimondo.org
7 Dicembre 2012