Lotta alla povertà: più soldi ma pochi risultati


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Cresce la spesa sociale e quella per la lotta alla povetà, ma i Comuni sono «barche in balia della crisi» e i servizi non danno ancora i risultati necessari.


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I Comuni italiani, davanti alla spesa sociale, sono «tante barche in balia della crisi e dell’impoverimento della popolazione, senza riferimenti condivisi, senza una bussola, senza una mappa da seguire». Così li definisce impietosamente il nuovo rapporto sulla lotta alla povertà della Fondazione Zancan, “Vincere la povertà con un welfare generativo”.
Il capitale a disposizione dell’assistenza sociale è in Italia di circa 51 miliardi di euro. Tra il 2008 e il 2009 la spesa sociale dei comuni è aumentata del 4,7% e nel quinquennio 2005-2009 è aumentata del 22%. Al crescere generale della spesa sociale è cresciuta anche la spesa per la povertà, anche se le differenze da una regione all’altra sono in aumento.
Già, le differenze. Per il Rapporto sono «ingiustificate». «Il campo di variazione è troppo ampio», si legge. Ecco una sintesi della forbice:

  • da 5,79 a 61,54 euro la spesa a sostegno delle persone in disagio economico;
  • da 1,77 a 30,64 euro la spesa per la povertà;
  • da 7,66 a 92,18 euro la spesa per il disagio economico e la povertà;
  • da -71% a +181% la variazione della spesa per il disagio economico e la povertà tra il 2005 e il 2009;
  • da 1,04 a 17,77 euro la spesa per il disagio economico dei bambini e delle loro famiglie;
  • da 30 centesimi a 20,08 euro la spesa per il disagio economico delle persone anziane.

Questi numeri «descrivono un sistema dove ogni comune fa quello che ritiene giusto e può. Dove chi viene dopo fa diverso da chi governava prima. Dove chi chiede aiuto può vedersi negato quello che prima gli era dato. Dove quello che un comune non offre viene dato in altri comuni a ugualmente poveri». In ogni caso le «risorse della raccolta fiscale vengono bruciate, procedendo a «zig zag», senza cercare la giusta direzione: realizzare interventi efficaci erogati in modo equo. Non è sufficiente erogare senza verificare gli esiti e l’impatto sociale dell’aiuto dato. Sono questioni di natura strategica e politica che da troppi anni non vengono considerate e affrontate».

Per trasformare la spesa del welfare da costo a investimento, occorrono, dice la Fondazione, «strategie rigenerative». Un esempio? Trasformare la cassa integrazione, consentendo alle persone di lavorare alimentando lavoro gestito a fini sociale, anziché tenerle in condizione passiva. «È un problema sfidante e molti soggetti non profit potrebbero essere interessati a gestire lavoro già temporaneamente remunerato». Un tentativo per far rendere di più le risposte del welfare: l’Italia infatti ha perso terreno fra il 2000 e il 2007 quanto all’indice di riduzione della disuguaglianza, cioè all’impatto dei servizi di contrasto alla povertà.

Fonte: www.vita.it
5 dicembre 2012

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