Kenya: la Strada verso la Pace


Padre Renato Kizito Sesana


Ieri l’annuncio di Annan dell’accordo tra Kibaki e Odinga per porre fine alle violenze in Kenya. Padre Kizito commenta la situazione "C’e’ solo da sperare che l’ odio seminato non abbia ancora messo radici tanto profonde da non poter essere estirpato".


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Kenya: la Strada verso la Pace

Stamattina il Nation esce con il titolo Road map to peace. Finalmente. I due team di negoziatori hanno accettato l’ agenda proposta da Kofi Annan. Il punto piu’ urgente e’ porre termine alle violenze entro sette o al massimo quindici giorni. Poi Kofi Annan, molto intelligentemente, approfitta del consenso per affermare che per risolvere i problemi a lungo termine ci vorra’ meno di un anno. Il che aiuta a calmare gli animi e a non esigere soluzioni miracolistiche immediate.

Per arrivare alla cessazione delle violenze entro quindici giorni il comunicato congiunto afferma che la legge deve essere rispettata da tutti; i lavoratori, si del settore statale che privato possano tornare ai loro posti di lavoro; le scuole vengano riaperte, tutti gli sfollati siano protetti ed assistiti a ritornare alle loro case e campi; i messaggi di odio tribale che sono stati diffusi attraverso i cellulari e le radio cessino immediatamente. E che chi ha commesso atti contro la legge – come vandalizzare, saccheggiare, bruciare case e uccidere – sia perseguito e processato.

Non sara’ facile, ma, come ho sempre sottolineato nelle interviste che ho fatto in questi giorni, e’ possibile. Perche’ la maggioranza dei manifestanti di questi giorni ( spesso poche centinaia di persone hanno tenuto in ostaggio una cittadina), cosi come la polizia, ha agito dietro ordini superiori. C’e’ solo da sperare che l’ odio seminato non abbia ancora messo radici tanto profonde da non poter essere estirpato.

Oltre al rispetto della legge il comunicato sottolinea che ogni keniano ha il diritto di risiedere in ogni parte del Paese, e questo sara’ un punto critico da far rispettare. L’altro giorno ho parlato per telefono con un avvocato kikuyu che si era rifugiato con la famiglia nella prigione di Naivasha e mi chiedeva se potevo aiutarlo ad arrivare a Nairobi. La sua casa e i sui campi a Eldoret sono stati bruciati da gruppi di giovani – purtroppo i giovani disperati e manipolati sono stati al centro di questa crisi – al grido di “Fuori tutti i kikuyu dalla Rift Valley”.

E’ interessante anche che nel comunicato ci sia per la prima volta un’ ammissione implicita importante: che telefonini e radio private sono state usate per le campagne di odio contro i rivali, e che quindi c’e’ stata una campagna di violenza orchestrata, non che la frustrazione e la rabbia della gente sia spontaneamente esplosa.

E’ un primo passo. Le due prossime settimane ci diranno se i leaders hanno intenzione di mantenere la parola data. Spero di si, se non altro per i danni enormi che il Kenya ha subito. Innanzitutto il danno morale e il danno all’unita’ del paese – tre giorni fa ho sentito in una radio un leader farneticare sull’ indipendenza del Western Kenya – ma anche per il danno economico. Nello stesso giornale di oggi si dice che centinaia di migliaia di lavoratori hanno perso il posto, una sola compagnia di trasporto ha licenziato 600 autisti. Sulla costa, dei 150 grandi alberghi 20 sono gia’ chiusi, 25,000 lavoratori hanno perso il posto, e molti altri lo perderanno. La stima e’ che in totale mezzo milione di lavoratori hanno perso o sono a rischio di perdere il posto nelle prossime settimane.

Una responsabilita’ grande sara’ quella di capire meglio come mai tanta disponibilita’ alla violenza fra i giovani. La poverta’ e il tribalismo non mi paiono sufficienti a spiegarla. Ci sono, credo, cause piu’ profonde. Bisogna cercarle e porvi rimedio. Non e’ possibile lasciare che questi giovani si rovinino e conducano il paese alla rovina. E qui la chiesa, che ha capacita’ di formazione umana a lungo termine, ha una responsabilita’ particolare.

Noi come Koinonia e Africa Peace Point facciamo piccoli interventi nei due o tre campi di sfollati che ci sono a Nairobi, uno e’ a Jamhuri, vicino alla Shalom House. Con l’ aiuto di amici italiani e anche di altri paesi (per esempio un piccola associazione di bambini della Slovacchia ci ha donato cinquemila novecento euro), e con una raccolta locale da una decina di giorni riusciamo a distribuire ogni giorno circa tre o quattrocento cento chili di vestiti e generi alimentari ed altre cose di prima necessita’, dalle pentole per cucinare alle coperte. Michael Ochieng segue questa cosa, credo che stia per pubblicare un rendiconto nel sito di Africa Peace Point (www.africapeacepoint.org).

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