D’armi e d’Amore, lettera da Barbiana
Don Renato Sacco
Dei giovani di Pax Christi trascorrono la Giornata delle Forze Armate a Barbiana, il paese dove operò don Lorenzo Milani. Soldati, obbedienza, missioni di pace: pensieri di don Sacco.
Sì, è proprio vero, tutto dipende dai punti di vista. Un conto è vedere un bombardamento da 5.000 metri di altezza e un conto è viverlo nello scantinato della propria casa. La stessa cosa vale per la ricorrenza del 4 novembre. Quest’anno mi trovo in Toscana, a Barbiana, dove è vissuto, è morto ed è sepolto don Lorenzo Milani, il sacerdote che scrisse la lettera ai cappellani militari («L’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni») e fu denunciato. Scrisse poi la lettera ai giudici, non potendosi presentare in tribunale perchè malato. Fu assolto ma, in appello, venne condannato. Intanto, però, il reo era morto il 26 giugno 1967.
Leggere queste lettere così intense, insieme al gruppo dei giovani di Pax Christi, che ha voluto essere qui proprio oggi, mi ha aiutato, come prete e come uomo, a vedere con occhi diversi anche il 4 novembre. Quanta retorica sulla guerra. Magari mascherata con parole altisonanti, tutte scritte con capolettere maiuscole: Eroi, Patria, Valori, Civiltà. Non sarebbe giusto anche ricordare il motivo per cui si celebra il 4 novembre? Cioè la fine della Prima guerra mondiale che ha visto, solo tra gli italiani: 600.000 morti, 947.000 feriti, mutilati e invalidi, 600.000 prigionieri e dispersi. Forse si dovrebbero ricordare le parole di papa Benedetto XV, del 1 agosto 1917: «Questa guerra, un’inutile strage». Perché non vivere questa ricorrenza partendo proprio dai dati impressionanti di questa “strage”? Perché si cerca sempre di presentare la guerra, magari chiamandola con altri nomi, come se fosse una cosa “umana”? Invece è pura follia, «alienum est a ratione» diceva Giovanni XXIII nella Pacem in Terris. Perché non partire, come credenti, proprio dal Vangelo, dal comandamento più importante di cui parla il Vangelo di oggi?
Don Milani scriveva nella lettera ai cappellani militari: «Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo. E’ troppo facile dimostrare che Gesù era contrario alla violenza e che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa». Da Barbiana risuona ancora oggi un invito alla riflessione, a non lasciarci abbindolare dalle parole spesso superficiali e menzognere che accompagnano ogni operazione di guerra. Da Barbiana risuona un invito forte al primato della coscienza. Di fronte alla guerra, di fronte ad un ordine di uccidere deve prevalere la coscienza e non la giustificazione dell’obbedienza. «Bisogna aver il coraggio – scriveva don Milani – di dire ai giovani che l’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni…». Mi chiedo: perché non aprire un serio confronto sulla guerra oggi? Sul servizio militare, non più obbligo di leva, ma professionale? Perché si è praticamente cancellato il servizio civile per i giovani? Perché non ci si riesce a confrontare né col mondo politico, né militare, né religioso? Perché non interrogarci sul ruolo dei cappellani militari oggi? Perché dopo 10 anni di guerra in Afghanistan non si vuole fare un serio bilancio dei veri risultati ottenuti? Quali?
Io sono stato lo scorso anno in Afghanistan così come sono stato molte volte anche in Irak. Quali i risultati di quella guerra, che Giovanni Paolo II definì “avventura senza ritorno”? Sono domande che pongo con molto rispetto nei confronti di tutte le vittime, anche dei soldati italiani uccisi, proprio perché credo di essere stato tra i pochissimi italiani presenti alle esequie celebrate a Baghdad il 18 novembre 2003, delle 19 vittime italiane a Nassirya, credo sia doverosa una riflessione diversa sulla guerra, con meno retorica e più realismo. «E’ davvero insopportabile questa retorica sulla guerra sempre più incombente e asfissiante», abbiamo scritto nell’appello ‘Eroi per la pace o vittime della guerra?’, firmato da oltre 100 preti. Perché si tende ad identificare la missione, il servizio, con l’attività militare? Perché anche nel campo educativo sembra sempre più prendere piede una cultura militare, armata? Perché non aprire una seria riflessione sul valore e sulla pratica del nonviolenza attiva? Non solo perché ce lo indica il Vangelo di Gesù, ma anche perché ce lo chiede la Costituzione Italiana che all’art. 11 recita: «L’Italia ripudia la guerra…».
Si sono proprio punti di vista diversi, ma da Barbiana i giovani mi hanno ricordato che don Milani invitava a stare sempre dalla parte dei più deboli. Il priore don Lorenzo ci ha creduto fino in fondo e ha pagato caro questo suo essere accanto ai più deboli: «Fa strada ai poveri senza farti strada». Allora anche il comunicato dei giovani di Pax Christi, leggibile sul sito paxchristi.it, merita di essere preso in considerazione, è una critica costruttiva, che apre a cammini di confronto, unica strada possibile per la pace, per la vita. «Come collettivo giovani di PaxChristi vogliamo invitare a una riflessione sul significato della festa delle Forze armate del 4 novembre, proponendo che essa diventi momento di commemorazione di tutte le vittime civili di tutte le guerre….Chiediamo che questa festa si trasformi da un’occasione di celebrazione a un momento di riflessione reale sulla funzione delle Forze armate e degli eserciti nazionali tenendo conto e ravvivando i principi ispirati dagli articoli 10-11 della nostra Costituzione».
don Renato Sacco, Pax Christi
Fonte: http://www.famigliacristiana.it
04 novembre 2012