Marcia per la pace a Gerusalemme: Ecco i pericoli che sottovalutiamo


Flavio Lotti


L’Italia che vuole uscire dalla crisi ha bisogno di riaprire gli occhi sul mondo, riconoscere le sue responsabilità e cominciare ad agire responsabilmente.


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L’Italia che vuole uscire dalla crisi ha bisogno di riaprire gli occhi sul mondo, riconoscere le sue responsabilità e cominciare ad agire responsabilmente. L’Italia non è un’isola e attorno a noi non c’è un mondo immobile. Eppure non facciamo altro che guardare al nostro ombelico. Che ci piaccia o meno siamo parte di quel microcosmo dove c’è la più grande concentrazione di tensioni esplosive che esista al mondo. Eppure noi alziamo la testa solo quando succede il botto. Appena fuori dai nostri confini si stanno accumulando tensioni esplosive e si vanno diffondendo instabilità, ingiustizie, insicurezza, disuguaglianze e intolleranza. Non c’è un paese che non sia toccato da sommovimenti, trasformazioni, transizioni.

In Medio Oriente, a poche ore di volo dalle nostre case, si sta montando una guerra fratricida che, per la prima volta, nessuno sa dire fino a dove si estenderà, quanto durerà né quale forma assumerà. Una “bomba atomica” che finirà per investirci. Un governo responsabile dovrebbe dedicare a tutto ciò un’attenzione costante, avere delle idee, darsi degli obiettivi e una strategia per perseguirli, dotarsi di una strumentazione adeguata.

Non fosse altro che per “garantire la nostra sicurezza e difendere i nostri interessi nazionali” (espressione molto cara alla casta degli addetti ai lavori). E invece niente. Nulla di serio, di concreto e di efficace. Si parla sempre di crisi ma la si guarda solo con gli occhi di Berlino e di Wall Street. E così facendo non solo non ci attrezziamo per scongiurare di essere travolti dai nuovi disastri che incombono ma perdiamo anche, una dopo l’altra, tutte le opportunità che i processi di trasformazione ci stanno offrendo.

Riaprire gli occhi e cambiare il nostro punto di vista sul mondo è dunque essenziale se vogliamo cercare di uscire dalla crisi o almeno incamminarci sulla strada giusta. L’idea che prima si debba mettere ordine a casa nostra e poi ci si potrà occupare del resto del mondo è fuori dalla storia come chi la continua a sostenere. E’ un’idea pericolosa, questa sì da rottamare al più presto. Anche perché, il tempo non è dalla nostra parte.

Non abbiamo bisogno di una nuova politica estera. Abbiamo semplicemente bisogno di una nuova politica. Una politica che non può non essere insieme interna ed esterna. Una politica che deve essere espressione di un nuovo modo di pensare le relazioni tra i popoli e tra gli stati, di affrontare le grandi crisi del nostro tempo, di prevenire nuovi conflitti e di contribuire alla loro soluzione.

Questa nuova politica ha bisogno di riscoprire il significato e il valore autentico di vecchie parole come quelle due che Berlusconi ha spudoratamente dichiarato di aver combattuto dal giorno della sua discesa in campo: “solidarietà” e “uguaglianza”. Ma ha soprattutto bisogno di essere alimentata da coerenti comportamenti, fatti concreti e atti simbolici. Come quello che facciamo andando oggi in “missione di pace” in Israele e nei territori palestinesi occupati. E’ la “Marcia Perugia-Assisi” che dall’Umbria si trasferisce in Medio Oriente, che da uno diventa di sette giorni, che da evento domenicale diventa feriale. Duecentododici persone dai sedici ai settantenni che, pagando di tasca propria, vanno nel cuore del conflitto più lungo del nostro tempo, laddove la pace appare sempre più lontana e urgente. Con tanta voglia di vedere, ascoltare, capire, riflettere e fare i conti con le responsabilità dell’Italia e dell’Europa.

Fonte: www.unita.it
2 novembre 2012

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