Sudafrica: si è rotto l’arcobaleno?


Davide Maggiore - ilmondodiannibale.globalist.it


Dopo settimane di scioperi e 44 morti, si placano le proteste nella miniera di platino di Marikana. Ma la nazione arcobaleno ora fa i conti con le sue contraddizioni.


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C'è un accordo per mettere fine allo sciopero nella miniera di platino di Marikana, dove nello scorso agosto 44 persone avevano perso la vita, 10 in scontri tra sindacati rivali e 34 dopo che la polizia aveva sparato su una folla di dimostranti. La notizia è arrivata direttamente dalla commissione incaricata di negoziare tra i minatori in sciopero e l'impresa britannica Lonmin. Uno dei mediatori, il vescovo anglicano Jo Seoka ha parlato di "una vittoria per i lavoratori", che ora torneranno in miniera dopo settimane di blocco quasi totale della produzione.

Le richieste dei protagonisti dello sciopero, in realtà, non sono state accolte del tutto: l'obiettivo era di ottenere un innalzamento del salario minimo da 4 mila rand a 12 mila (cioè da circa 400 euro a quasi 1200), mentre in realtà le paghe cresceranno del 22%, e i minatori riceveranno anche una compensazione una tantum per gli stipendi non corrisposti durante lo sciopero. Una soluzione di questo tipo, però, ha permesso di non scontentare anche le altre due parti coinvolte: la Lonmin (che stimava di non poter sostenere economicamente un innalzamento delle paghe come quello richiesto) e soprattutto il governo, criticato per la sua gestione della crisi, in cui – dopo la sanguinosa azione di polizia – si erano alternati appelli al dialogo e provvedimenti severi (come l'invio di diverse centinaia di militari a Marikana).

L'ondata di scioperi che ha colpito il settore minerario sudafricano – ancora fondamentale per l'economia del Paese – sembra aver subito quantomeno un rallentamento (anche se resta tesa la situazione nei siti di Rustenburg, controllati dalla Anglo-American Platinum): il timore di alcuni analisti, però, è che la soluzione sia soltanto temporanea e locale.

La vera questione sollevata dai fatti di Marikana – e non solo – in effetti, non è stata davvero affrontata, né a dire il vero avrebbe potuto esserlo in pochi giorni o settimane. Perché si tratta del contrasto tra gli indicatori economici di un Paese che è tra le potenze emergenti a livello mondiale (con un PIL cresciuto, nel secondo trimestre del 2012, del 3,5%) e le condizioni di vita di grandi masse di popolazione, tra cui i lavoratori non specializzati. Secondo le statistiche diffuse dalla Banca Mondiale, il 58% della ricchezza è in mano a una minoranza di privilegiati (il 10% della popolazione), mentre la metà più povera del Paese deve dividersi appena l'8% del reddito nazionale. Marikana ha segnato – secondo un commentatore locale – la prima occasione in cui il Sudafrica 'arcobaleno' e democratico, uscito dalla lotta contro l'apartheid, si è confrontato in profondità con questo tema, svelando uno spettacolo tutt'altro che piacevole.

I minatori arrivano per lo più dalle aree rurali del Paese, e hanno famiglie numerose di cui fanno parte non solo la moglie (che nella maggior parte dei casi non ha un lavoro) e i figli, ma anche diversi parenti adulti disoccupati. In queste condizioni i lavoratori devono fare spesso ricorso a prestiti che vengono concessi da usurai, a tassi d'interesse altissimi. Questo può anche spiegare, in parte, il malcontento nei confronti della classe dirigente, a partire da quella sindacale, divisa al suo interno e descritta da molti scioperanti come "più interessata alle quote d'iscrizione che agli iscritti" alle diverse sigle. Questo clima ha coinvolto anche i vertici politici, spesso visti dagli 'uomini della strada' come un'élite che rivendica i frutti della lotta alla segregazione razziale terminata nel 1994, ma che da allora non è stata capace di affrontare le questioni rimaste aperte nella società, pur aumentando i propri privilegi.

E proprio nei giorni in cui a Marikana erano in corso le trattative, è arrivata la notizia che il Parlamento aveva concesso al presidente della Repubblica Jacob Zuma un aumento di stipendio del 5,5 per cento, portando la cifra totale a oltre 2 milioni 600 mila rand all'anno (oltre 230 mila euro). Non meraviglia dunque il fatto che ormai ci sia chi, come Mamphela Ramphele (a capo della compagnia Gold Fields, ma anche fondatrice di un movimento di cittadini), chiede attraverso la stampa "una leadership forte" che porti avanti uno "sviluppo sostenibile" del settore minerario in cui tutti possano avere benefici.

E, da parte sua, il politologo Steven Friedman ha invocato un "patto sociale" che -accusa – "non è mai partito". Non è quindi solo l'economia ad essere in gioco, nel Sudafrica del dopo-Marikana, nonostante l'allarme del presidente Zuma, secondo cui nell'ultimo anno il settore minerario ha visto diminuire i suoi ricavi di 417 milioni di euro. Ad essere a rischio è lo stesso ideale di uguaglianza che la 'nazione arcobaleno' simboleggia ancora in gran parte del continente.

Fonte: http://ilmondodiannibale.globalist.it
20 Settembre 2012

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