Pane, petrolio e rivoluzioni


Luca Scarnati - ilmondodiannibale.globalist.it


L’aumento del prezzo del cibo scatena la Primavera Araba, dietro le rivolte contro i dittatori ci sono cambiamenti climatici e speculazioni finanziarie.


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La peggiore siccità degli ultimi 50 anni svuota i granai degli Stati Uniti. A luglio 2012 la FAO ha registrato un aumento del prezzo dei cereali del 17%. In particolare il mais, per cui la produzione americana rappresenta la metà di quella mondiale, da solo aumenta del 60%. Colpita fortemente anche la soia. Secondo gli esperti la situazione alimentare non raggiungerà livelli di criticità, dato che per quanto riguarda il riso, che sfama attualmente la maggior parte del pianeta, la produzione mondiale rimane buona. Ma l’aumento di mais e soia si farà sentire nei paesi occidentali, i due beni hanno una presenza molto ramificata nei prodotti alimentari tra gli scaffali dei supermercati, tanto che le multinazionali Kraft e Nestlè annunciano già aumenti dei prezzi. Inoltre, dato che 1/3 della produzione viene utilizzato come mangime per gli allevamenti, è previsto anche un aumento del prezzo della carne e del latte. L’effetto sulle popolazioni più povere, la cui alimentazione è prevalentemente vegetariana, sarà relativamente minore, mentre si sentirà di più nei paesi ricchi e nelle economie emergenti quali Cina e Brasile, in fase di transizione verso diete carnivore. Intanto secondo la Coldiretti in Italia già perso un terzo della produzione di mais.

Questa la notizia, ma molto più complicato ciò che ci sta dietro. Soprattutto se è in grado di portare alla fame intere popolazioni e di provocare rivolte e assalti di palazzo, come per la Primavera Araba. Per prima cosa andrebbe aggiunto che l’aumento del prezzo dei beni alimentari di base è una costante degli ultimi anni. Secondo un indice FAO, che stabilisce il costo medio di un paniere di beni alimentari di prima necessità, con riferimento al 2002 – 2004, in 100 $, siamo attualmente arrivati ad un valore di circa 240.

Se aumentano i costi del cibo nei paesi occidentalizzati poco male secondo molti, tutto sommato sarebbe l’occasione di passare a diete meno caloriche, considerando un miliardo di persone in sovrappeso e almeno 300 milioni di obesi. Al contrario per chi vive in paesi in cui si spende il 70% del reddito familiare per l’alimentazione, contro il 13% dei paesi occidentali, basta poco per trovarsi alla fame, tanto che la Banca Mondiale ha dichiarato che altri 44 milioni di persone sono passate sotto la linea di povertà nel luglio 2012, aggiungendosi al già oltre miliardo di affamati. Cerchiamo di analizzare le cause che hanno innescato l’aumento dei prezzi: a partire dalla crisi finanziaria del 2006 una serie di elementi di economia, politica e finanza, in parte casualmente, hanno agito in sinergia, cominciamo con una delle cause più evidenti:

1) I cambiamenti climatici influiscono sulla produzione di cibo, nell’estate 2010 in Russia e Ucraina caldo e siccità anomale causano incendi che distruggono i raccolti di grano, altrettanto in India e Pakistan fanno le inondazioni causate da una stagione delle piogge fuori dalla norma. Il Global Change, causato dalle attività dell’uomo industrializzato, a detta della quasi totalità degli scienziati non sembra volersi arrestare, anzi, se non verranno prese drastiche e urgenti misure di contenimento potrebbe divenire irreversibile.

2) Aumento dell”‘occidentalizzazione” di paesi quali Cina, Brasile e India, con conseguente aumento della richiesta di cibo, dovuto alla crescita demografica e al passaggio da diete vegetariane a carnivore, che richiedono una produzione di foraggio molto alta e un consumo di acqua difficilmente sostenibile.

3) In tempi di scarsi raccolti vi è la tendenza da parte dei paesi produttori a bloccare le esportazioni, così come i paesi importatori aumentano le importazioni per cercare di crearsi delle riserve. Ne segue minor offerta e maggiore richiesta.

4) L’aumento del prezzo del petrolio, che attualmente in Europa si aggira intorno ai 115 $ al barile, aumenta i costi dell’agricoltura intensiva, fortemente meccanizzata e legata al trasporto della produzione anche a lunghe distanze. Inoltre conviene produrre mais per ricavarne etanolo, ossia biocombustibile, e gran parte delle agricolture intensive, in alcuni paesi fino al 40%, sono ormai indirizzate verso questa produzione. È bene tener presente che le richieste di petrolio sono in aumento, sempre a causa delle economie emergenti, mentre la produzione è in calo: i giacimenti diminuiscono e secondo molti è stato superato il picco del petrolio, ossia il punto di massima produttività mondiale, dopo il quale la produzione può solo diminuire, e quindi il prezzo solo inevitabilmente salire.

Ed è la Primavera Araba: diminuendo l’offerta e aumentando la richiesta e i costi di produzione, i prezzi salgono, così il 5 gennaio 2011 in Algeria cominciano le proteste per l’aumento del prezzo del pane, che si espandono a Tunisia ed Egitto, poi in Medio Oriente: Giordania, Sudan e Yemen; paesi dove c’è molto autoritarismo e corruzione, con poche famiglie che accumulano ricchezza tenendo la popolazione sulla soglia della povertà, priva di margini nel bilancio familiare per un aumento della spesa alimentare.

Aggiungiamo ora gli aspetti speculativi, i più discussi, che alcuni negano ma secondo molti la causa principale del problema dell’aumento del prezzo delle materie prime alimentari. La regolamentazione del mercato delle materie prime è stata abolita sotto le pressioni di banche e politici liberisti in Gran Bretagna e USA negli anni ’90, così i contratti di compravendita di prodotti alimentari sono diventati titoli scambiabili e quindi soggetti a manovre speculative tipiche delle Borse.

Con la crisi dei mutui negli Stati Uniti dal 2006 le banche hanno spostato miliardi di dollari sulle materie prime tra cui quelle alimentari, considerate più sicure. Questa componente speculativa fa aumentare i prezzi, in caso di cattivo raccolto, di 2- 3 volte più di quanto sarebbe normale. La Chicago Board of Trade è la borsa dove si scambiano le materie prime, tra cui quelle alimentari, gli aumenti degli investimenti in queste materie è stato negli ultimi anni molto elevato. Mentre la FAO sull’argomento non si esprime in modo esplicito e definitivo, sembra avere le idee chiare Olivier de Schutter, relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto al cibo, già autore di un rapporto da cui si evince che gli attuali sistemi agroalimentari hanno fallito sia nell’affrontare la fame che nel favorire diete equilibrate e salutari: “I veri responsabili sono proprio i grandi speculatori finanziari, i quali si sono buttati sul settore agricolo all’indomani delle bolle speculative che hanno colpito tutte le borse internazionali, facendolo crescere a dismisura e causando un enorme aumento dei prezzi alimentari”. Inutile dire che nel mondo della finanza la tendenza è di negare ogni responsabilità.

In conclusione il presidente americano Obama e il presidente francese Hollande chiederanno al prossimo G20 di diminuire le quote di materie prime alimentari destinate alla produzione dei biocarburanti, così da aumentarne la disponibilità per il consumo alimentare. Ma se nessuno interverrà sulla finanza difficilmente si potrà parlare di sicurezza alimentare. Da non trascurare poi che tutte le cause elencate sono in pieno divenire, nonché legate tra loro da un sistema economico evidentemente non in grado di assicurare uno sviluppo sostenibile, il livello a cui intervenire è quindi molto alto, ne segue il pianeta non può permettersi altri fallimenti come quelli di Rio+20.

L’Italia non è alimentarmente autosufficiente. Nel nostro piccolo è quanto ha dichiarato il ministro dell’Agricoltura Mario Catania: produciamo il necessario solo per frutta, verdura e vino, se dovessero per qualsiasi motivo chiudersi le frontiere ci sarebbero problemi a sfamare 1/4 della popolazione, che rimarrebbe senza cereali, patate, zucchero, legumi, latte, carne e, addirittura, olio d’oliva. Come mai? A causa della cementificazione del territorio, che negli ultimi 40 anni ha sottratto all’agricoltura 5 milioni di ettari, diminuendo le superfici coltivate del 28%. Così Catania ha deciso di presentare in Consiglio dei Ministri una proposta di legge che fermi il cemento. Che dire, buona fortuna!

Fonte: http://ilmondodiannibale.globalist.it
26 Agosto 2012

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