Pronti a morire per chiedere diritti. Così si muore in miniera e fuori


Enzo Nucci


“Siamo pronti a morire per far rispettare i nostri diritti” hanno gridato prima che la polizia sparasse. Va sottolineato che è la prima volta dalla fine dell’apartheid che la polizia apre ilfuoco su lavoratori in sciopero.


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Pronti a morire per chiedere diritti. Così si muore in miniera e fuori

Una delle attrattive turistiche del Sud Africa è la visita alle miniere dove si estrae platino, oro o preziosi. Anche per un turista questa “discesa agli inferi” non è proprio una consigliabile passeggiata di salute. Si sale su enormi ascensori che ad incredibile velocità conducono i curiosi fino a due chilometri sotto terra in pochissimo tempo. Se soffrite di claustrofobia evitate accuratamente di tentare l’avventura perché rischiate di impazzire dal terrore. Anche le persone con un saldo sistema nervoso sono sottoposte ad un forte stress: il caldo a due chilometri sotto terra è insopportabile pure se all’esterno (come succede in inverno come in questi giorni  in Sud Africa) la temperatura è sotto lo zero. E poi il vostro cervello funziona a velocità supersonica dimenticando di ascoltare l’attenta guida (quasi sempre un ex minatore) che vi illustra il lavoro di estrazione che si svolge nel sottosuolo.

Sotto quei due chilometri di terra, voi state respirando grazie all’aria pompata dalla superficie attraverso potenti motori. Il pensiero però corre veloce pensando che il flusso potrebbe interrompersi per un blocco del motore causato dall’assenza di energia elettrica (i black out sono molto comuni) e che i generatori di riserva potrebbero anche loro entrare in avaria. E quegli esili pali di legno che mantengono in piedi i cunicoli potrebbero franare….Ed allora, sarebbe veramente atroce….

Questa lunga digressione serve a introdurre la strage della polizia sudafricana che ieri ha ucciso 30 minatori, forse 36 secondo alcune testimonianze, a Marikana,cento chilometri a nordovest  da Johannesburg. All’origine vi è la contesa tra due sindacati dei minatori.

Da una parte la National Union of Mineworkers (Num) (antica e burocratica organizzazione) e la nuova e più combattiva Association of Mineworkers and Construction Union (Amcu) che chiede migliori condizioni di lavoro e aumenti salariali. L’ Amcu ha così proclamato uno sciopero ad oltranza mentre un picchetto  ha  impedito l’ingresso alle miniere dei sindacalisti avversari. Questa contrapposizione ha già causato venerdì 10 agosto scontri che sono costati la vita a 10 lavoratori.

Ieri l’intervento della polizia sollecitato anche dalla Lonmin, la compagnia proprietaria della miniera, che ritiene illegittimo lo sciopero. Il massacro non si è fatto attendere. Tremila minatori si sono rifugiati su una collinetta rifiutandosi di abbandonare bastoni e machete e sciogliere lamanifestazione. Inutili le mediazioni dei sindacalisti: “Siamo pronti a morire per far rispettare i nostri diritti” hanno gridato prima che la polizia sparasse. Va sottolineato che è la prima volta dalla fine dell’apartheid che la polizia apre ilfuoco su lavoratori in sciopero.

Ma allora a dettare legge erano i bianchi mentre dal 1994 c’è una costituzione che sulla carta garantisce le 11 etnie maggioritarie che compongono il paese. Da qui il nome di paese arcobaleno, proprio perché teoricamente rispettoso delle diversità dopo decenni di soprusi razziali.

Al di là delle beghe sindacali, bisogna evidenziare che un minatore che lavora non meno di 11 ore al giorno guadagna infatti 400 euro al mese, senza assistenza sanitaria, pensione, etc. Insomma questa gente, come avrebbe esclamato un vecchio illuminato oggi fuori moda, non ha che da perdere che le proprie catene. Oggi molti sudafricani (ovviamente di colore) rinunciano a fare un lavoro tanto pericoloso e così poco remunerativo, dove se tutto va bene dopo una vita di sacrifici si torna a casa con polmoni a pezzi. A scendere nelle viscere della terra sono le centinaia di migliaia di clandestini che arrivano da Zimbabwe, Mozambico, Nigeria, con il miraggio di un lavoro, di una vita migliore per sfuggire alla guerra, alla fame, a regimi liberticidi.

Una parte del successo del Sudafrica è dovuto proprio a questi clandestini che svolgono i lavori che anche i poveri del luogo non vogliono più fare. Lo stesso avviene nel settore agricolo: ormai i braccianti anche in Sudafrica (così come in Italia) sono quasi tutti stranieri e sottopagati, senza diritti sindacali.

Certamente 18 anni per costruire un paese nuovo dopo decenni di apartheid sono pochi: ce ne vogliono molto di più per dare risposte alle domande di lavoro, casa, assistenza che arrivano dalle bidonville sudafricane. Sicuramente Mandela non ha trovato “delfini” degni della sua opera. Oggi il Sudafrica del”black diamond” (espressione che indica la ricca borghesia nera locale) è contraddistinto da una corruzione che qui tocca i più alti indici al mondo, dove l’unico credo è l’arricchimento e le belle intenzioni di riscatto sociale sono solo belle parole per condire discorsi pubblici.

Avere le licenze per l’estrazione di preziosi è questione politica e passa attraverso tangenti al partito unico al potere e persone ad esso legate. La compagnia Lonmin non a caso è appoggiata dal governo, i suoi responsabili e proprietari sono sudafricani. Il male neanche tanto oscuro del Sudafrica è oggi la corruzione che rischia di soffocare il paese, nonostante sia uno delle locomotive del Brics.

Fonte: www.articolo21.org
17 Agosto 2012

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