La guerra del petrolio


Nigrizia.it


Scontro sempre più duro tra Khartoum e Juba sulla gestione dei proventi petroliferi. Dopo la tassa di 32,2 dollari a barile imposta dal Nord, il Sud ha bloccato il flusso dell’oro nero verso Port Sudan e nel frattempo ha chiuso un accordo con il Kenya per costruire un oleodotto fino a Lamu. Si cerca una mediazione. In campo l’Ua.


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La guerra del petrolio

Juba ha dichiarato di aver messo le proprie truppe in massima allerta, dopo le crescenti tensioni con Khartoum a causa della controversia sulla condivisione dei proventi petroliferi e per i continui bombardamenti aerei da parte del Sudan all'interno dei confini sudsudanesi.

Lo stesso Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur) si è detto, ieri, estremamente allarmato per il raid aereo lanciato martedì 24 gennaio sul Sud Sudan. Un attacco nei confronti dei rifugiati già in fuga dalla violenza nello stato sudanese del Nilo Azzurro. Il bilancio dell'operazione militare è di almeno un ragazzo rifugiato sudanese ferito e altri 14 dispersi.

La località bombardata è stata Elfoj, nello stato sudsudanese dell'Alto Nilo. Due le incursioni con diverse bombe sganciate sul centro di transito per rifugiati, che si trova a meno di 10 chilometri dal confine con il Sudan.

Al momento del raid erano circa 5.000 i rifugiati presenti, mentre stavano per essere trasferiti verso i nuovi insediamenti. Quando sono state lanciate le prime bombe, le squadre di operatori di Acnur e dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), erano impegnate nella gestione di 14 camion, carichi di persone.

Ma questi giorni continuano ad essere gonfi di tensione tra Juba e Khartoum anche per colpa del petrolio. Il 20 gennaio scorso il governo del Sud Sudan (GoSS) ha deciso di interrompere il flusso dell'oro nero che normalmente attraversa il Nord per sfociare nel porto di Port Sudan, sul mar Rosso, dove aspettano le petroliere. La decisione è stata assunta dopo che il governo sudanese aveva deciso di alzare a 32,2 dollari la tassa a barile che Juba avrebbe dovuto lasciare al nord.
 
Cifre fuori mercato
Una cifra esorbitante. Tanto per citare altri esempi in giro per l'Africa e per il mondo: il Camerun, nel 2009, ha rinegoziato con il Ciad le tasse per il petrolio che transita sul suo territorio: da 0,41 dollari a un dollaro a barile; l'Ucraina riceve dalla Russia da 7,80 a 9,50 dollari a tonnellata (circa 7 barili) di petrolio russo che attraversa il territorio.

Visto il rifiuto del GoSS a pagare quelle tasse esose, sono state sequestrate dai sudanesi 4 navi con 3,5 milioni di barili di petrolio pronte a salpare e ad altre 4 è stato impedito di attraccare. Le entrate perse da Juba, grazie alle iniziative di Khartoum, s'aggirano sugli 815 milioni di dollari.

Al momento Juba non sembrerebbe soffrire per la mancanza di benzina, che si paga ancora 1,25 dollari al litro. Dopo la crisi che aveva colto il paese per l'intero mese di settembre, il GoSS aveva deciso di accantonare grandi quantità di petrolio. Per questo, al momento, non si registrano evidenti ripercussioni nella vita di tutti i giorni, anche se il costo dei beni di prima necessità continua ad aumentare.

Certamente serpeggia un po' di preoccupazione. Lunedì scorso c'è stata una manifestazione di protesta contro il blocco del petrolio per le vie principali di Juba. Manifestazione che non ha, però, richiamato molta gente in strada e non sono stati registrati scontri.

La suddivisione delle rendite petrolifere tra Nord e Sud è stato uno degli elementi più importanti degli accordi di pace del 2005 (Agp), che avevano concluso una guerra civile durata oltre venti anni. Dopo l'indipendenza del Sud Sudan, luglio 2011, quegli accordi sono venuti meno e non sono ancora stati sostituiti da una nuova intesa tra Khartoum e Juba.
 
15 miliardi di dollari
Il negoziatore del Sud Sudan per il petrolio, Pagan Amum, aveva inizialmente dichiarato che Juba poteva raggiungere un accordo con Khartoum sul prezzo da pagare per permettere al greggio sudsudanese di arrivare a Port Sudan attraverso gli oleodotti sudanesi. La cifra proposta da Juba a Khartoum era di 5,4 miliardi di dollari, come compensazione dopo la perdita dei pozzi petroliferi in seguito all'indipendenza del Sud.

Il portavoce del ministero degli esteri sudanese, Al-Obeid Marawih, aveva però negato le dichiarazioni di Amum, definendole solo «proposte che devono ancora essere discusse al tavolo dei negoziati». In realtà il Nord avrebbe rilanciato chiedendo il triplo, circa 15 miliardi di dollari, come risarcimento. Proposta respinta da Juba.
 
Il 28 novembre scorso era stata Khartoum ad annunciare un'interruzione delle esportazioni del greggio del Sud, motivando il blocco anche con il mancato pagamento da parte di Juba di arretrati per 727 milioni di dollari. Il Sud ha risposto chiedendo cinque miliardi, dovuti dai tempi della guerra civile (1983-2005).
 
Dei quasi 500.000 barili di greggio prodotto ogni giorno in quell'area, per lo più nelle regioni meridionali, il 60% è acquistato dalla Cina. Il Sud controlla almeno tre quarti dei giacimenti di petrolio sudanese.

Jean Ping, presidente della Commissione dell'Unione Africana (Ua), in un'intervista rilasciata al Sudan Tribune, ha espresso il proprio sostegno al programma che l'African union high level panel (Auhip), presieduta da Thabo Mbeki, ha presentato per risolvere la disputa petrolifera.

Due, sostanzialmente, le proposte lanciate dall'organismo Ua: la prima, come informa Suna, agenzia di stampa ufficiale sudanese, riguarda una serie di accordi per un periodo di transizione di 30 giorni; in questo arco di tempo il Sud Sudan continuerebbe a trasportare il proprio greggio attraverso il territorio del Sudan. E ciò fino a quando non si sarà raggiunto un accordo sui dazi di transito.

La seconda, suggerisce compensazioni finanziarie per coprire la richiesta di pagamento, da parte del governo di Omar al-Bashir, dei dazi arretrati.

I due presidenti Al-Bashir e Salva Kiir si incontrano il 27 gennaio, ad Addis Abeba (Etiopia) in occasione del vertice dell'Igad (Intergovernamental Authority on Development). Potrebbe rappresentare una delle ultime occasioni per trovare un accordo e per fermare un'escalation di violenze che potrebbe condurre a un'ennesima guerra tra nord e sud.
 
Accordo con il Kenya
Nel frattempo il GoSS, per non dipendere in futuro dalle decisioni di Khartoum, ha firmato il 24 gennaio un accordo con il Kenya per la costruzione di un oleodotto che colleghi i suoi campi petroliferi con il porto kenyano di Lamu.

La firma dell'accordo è stata posta a Juba dal ministro kenyano dell'energia Kiraitu Murungi e dal ministro del petrolio e delle miniere del Sud Sudan, Stephen Dhieu. Il tempo previsto per la costruzione è di 11 mesi e le operazioni «inizieranno il prima possibile», ha dichiarato il vice ministro sudsudanese.

Il progetto Lamu Port-South Sudan-Ethiopia Transport Corridor (Lapsset) ha lo scopo di offrire, oltre che al Sud Sudan, anche all'Etiopia uno sbocco marittimo di rilievo per l'ingresso delle merci nei rispettivi paesi.

Fonte: http://www.nigrizia.it
26 Gennaio 2012

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