Non siamo violenti, ecco le nostre idee


Chiara Organtini


L’enorme corteo invade la città. Gloria, 10 anni, da grande sarà giornalista: “Per raccontare una manifestazione come questa, che può contribuire a cambiare le cose”.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Non siamo violenti, ecco le nostre idee

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ha il futuro sulle spalle, Enrico, 50 anni, padre di Eva. Piccola ma non troppo per stare in piazza della Repubblica anche lei, per la manifestazione degli indignados d’Italia, la protesta indetta dal coordinamento “15ottobre” e che oggi si è svolta in contemporanea in moltissime altre città nel mondo. «Ai nostri ragazzi non spetta un futuro, in questo paese – spiega Enrico – dobbiamo essere noi a darci da fare per loro, per lei». Poi c’è Gloria, figlia di Giuseppe, appartenente ai Cobas, da Treviso. Dieci anni ma già in grado di capire cosa vuole fare da grande: la giornalista. «Per raccontare una manifestazione come questa, che come dice il mio papà, può contribuire a cambiare le cose». E per cambiare le cose sono arrivati a migliaia in piazza. Venti minuti prima delle 14, orario di partenza del corteo, piazza della Repubblica era già una massa di colore indistinta. Gremita, chiassosa, serena.
 
Riccardo e Piergiorgio, due studenti di 20 e 17 anni, il primo all’università e il secondo ancora al liceo, sanno cosa vogliono e perché sono qui: «Quando vedo un politico in televisione penso subito a quanti soldi si è messo in tasca. Non voglio essere arrabbiato, ma rappresentato» spiega Riccardo. Eppure i politici si muovono tra loro, chiacchierano con le persone in piazza, stringono mani, ascoltano la rabbia. Il sindaco di Napoli De Magistris è accerchiato, ma non in pericolo. «A qualcuno che mi chiede del timore dei disordini e delle violenze – spiega l’ex magistrato – rispondo con quello che vedo ora: una bella piazza, un raduno di gente pacifica. Questo è quello che voglio aspettarmi». Un gruppetto di donne mature con indosso una maglia arancione con su scritto incazzadas, dibattono tra loro sulla situazione del paese.
 
«Il fallimento, il default, che alcuni ragazzi qui in piazza chiedono, c’è già – spiega Enza -. L’Italia, con mio figlio che se ne è andato, è già fallita». Mentre i 6 tir della manifestazione si avviano al percorso che li porterà fino a piazza san Giovanni, evitando per ordine della questura di Roma, i palazzi del potere – i luoghi sensibili – gli studenti provenienti da La Sapienza, assieme agli indignados che hanno dormito davanti al Palazzo delle Esposizioni convergono nel corteo: festosi ma incazzati. Sanno che questa è una grande chance: di ascolto, di condivisione. Un’occasione per dimostrare la forza della loro rabbia, una forza positiva però, che ha ancora voglia di costruire qualcosa nel paese. Gli ultimi, assiepati sul fazzoletto di verde attorno alla statua di Woytila a Termini, raccolgono le loro cose e si avviano, con il futuro negli occhi.
 
Gli altri, diversi, senza speranza negli sguardi, che sembrano non appartenere a quel gruppo, con le bottiglie di birra vuote in mano, il casco in tasto e tutti felpati rigorosamente di nero, si aggregano al corteo in sordina. Tra le bandiere di Rifondazione Comunista, tantissime, gli striscioni dei Cobas con il loro agguerrito servizio d’ordine, i lavoratori iscritti alla Fiom, i precari de Il Nostro tempo è adesso, le Brigate Monicelli e tutte le associazioni e i circoli Arci, sfilano i ragazzi che gridano che “vogliamo tutto”, le famiglie come quella di Giuseppe, impiegato statale che invoca la rivoluzione – “unica soluzione attualmente” – gli anziani con su scritto sulla maglietta “fateci diventare nonni”; sfilano ragazzi dal volto coperto. Come una macchia nera, in mezzo a tanto colore, si raggruppano inserendosi in mezzo al corteo.
 
Dopo neanche un’oretta dall’inizio del corteo, al principio di Via Cavour, i ragazzi “in nero” danno il via all’inferno. Spaccano le vetrine di un super mercato, prendono di mira una camionetta della Guardia di Finanza, incendiano auto. Gli altri manifestanti, tutti intorno, gli urlano “vergogna!”. Guido, ricercatore in biologia, ammette che “forse se lo meritano loro, un’Italia così”. Ma la devastazione continua su via Labicana con l’assalto alle banche e ai cassonetti. La polizia a quel punto, dinnanzi agli ennesimi lanci di oggetti, comincia la carica: i lacrimogeni, il panico. La gente, quella pacifica, prende le botte non dalla polizia, ma dalla calca che si crea. Un edificio del ministero della difesa è preso d’assalto e Francesco, 78 anni, urla che un edificio sensibile senza protezione non si spiega: «quegli stronzi sono infiltrati allora!». Mano a mano che la violenza si espande, tracima anche la rabbia degli indignados, la gente che in piazza c’era andata per manifestare. Il corteo si divide, chi per via Manzoni, chi per via Merulana. L’essenza della manifestazione è perduta. A san Giovanni arrivano i superstiti, innocenti, dei lacrimogeni. La manifestazione non è finita, ma è morta nel cuore delle persone. Pacifiche. E ancora più incazzate.

Fonte: www.terra.org
15 Ottobre 2011

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento