E’ la Nato il gendarme del mondo?


Emanuele Giordana - Lettera22


Qualcuno, fautore dell’intervento armato come strumento negoziale, gonfierà il petto dopo i fallimenti di Iraq e Afghanistan. Ma non può essere l’Alleanza atlantica la polizia del pianeta.


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E' la Nato il gendarme del mondo?

La fine del regime di un dittatore è sempre una buona notizia. Una buona notizia per l’opposizione libica, di cui in realtà sappiamo abbastanza poco e che non sappiamo bene chi rappresenta, e una buona notizia soprattutto per i cittadini della Libia, che di Gheddafi non ne potevano più, avendone sofferto i soprusi e, in molti casi, la violenza, la tortura, il carcere. La fine del conflitto, pur se è ancora presto per archiviarla, è una buona notizia anche per la Nato e per i fautori della guerra come arma negoziale, spiccia ma efficace, come il caso libico sembra dimostrare. Dopo le polemiche sulla “guerra umanitaria” in Kosovo, ma soprattutto dopo l’insuccesso in Afghanistan, il destino della Nato appariva un po’ appannato. Adesso a Bruxelles possono gonfiare il petto, forti di una risoluzione Onu che ha avallato l’operazione – creando il precedente del diritto all’intervento in difesa dei civili – e di un successo militare che può essere capitalizzato in moneta politica.
 
Ma più che a ridare fiato alla Nato, la crisi libica, l’intervento, l’appoggio in difesa dei civili, dovrebbero invece invitare a un ripensamento generale della strategia internazionale in casi simili. C’è la Siria dietro l’angolo, per dirne una, ed è facile immaginare che il caso libico, almeno nella testa del siriano medio, possa essere interpretato come l’anticamera di un intervento – per ora da tutti escluso – contro Damasco. Ma la Nato non può essere l’esercito – o la polizia – del mondo. E la scusa “tecnica” per cui l’Onu non è in grado di fare quel che fa la Nato, non è moneta spendibile. Così come non lo è la guerra come arma (e qui mai parola è più adatta) per risolvere i contenziosi. Un mondo che vuole cambiare dovrebbe lavorare a nuovi strumenti anche quando prevedano un intervento armato. Per dotare la comunità internazionale di utensili adatti a prevenire i conflitti o in grado di seguirne l’evoluzione con mezzi più condivisi. Secondo molti osservatori, l’idea di un esercito dell’Onu è ormai morta.
 
I più ottimisti pensano al più a un esercito europeo che, in questi tempi di scarsa propensione europeistica, appare ancora più aleatorio della famosa “politica estera comune” che proprio il caso libico ha messo a dura prova. Ma non ci si può arrendere all’idea che d’ora in poi sarà la Nato il gendarme del mondo. E per almeno due buone ragioni. La prima è politica e la seconda è tecnica. La ragione politica dice che una polizia internazionale non può essere formata da un solo gruppo di Paesi, omogenei per censo e cultura come nel caso della Nato. La ragione tecnica è che un successo militare non è sufficiente a cancellare pesanti insuccessi. Rinunciare a riflettere sul futuro della sicurezza mondiale e sui nuovi strumenti che dovremmo essere chiamati a gestire potrebbe trasformare il successo libico in una vittoria di Pirro. Non tanto per la Nato quanto per l’intero pianeta.

Fonte: Lettera 22, Terra

23 agosto 2011

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