Se l’immigrato dev’essere per forza cattivo


Roberto Natale


Il presidente della Federazione nazionale della Stampa: “Chiedere di entrare nei Cei è una battaglia di libertà. Andremo avanti fino a che Maroni non toglierà il divieto”.


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Se l'immigrato dev'essere per forza cattivo

Di loro si deve parlare associandoli a reati, meglio se efferati. Immigrati= criminali è l’equazione non dichiarata che regola larga parte della politica, dunque dell’informazione. Tutti le ricerche scientifiche sull’atteggiamento dei media dicono che il tema dei migranti viene trattato quasi esclusivamente come un problema giudiziario o di ordine pubblico. Devono suscitare paura, così da permettere alla speculazione politica di incassare i profitti elettorali. È questa la ragione vera della circolare Maroni, che tiene noi giornalisti fuori dai Centri di Identificazione ed Espulsione. Con strafottente ipocrisia, il ministro ha scritto che nondobbiamo «intralciare» le attività rivolte agli immigrati. In realtà, è a lui che il nostro lavoro è d’intralcio: al ministro che del «finalmente cattivi» ha fatto la linea-guida della sua azione. Perché, se potessimo raccontare, la produzione di paura, di ostilità, di xenofobia, di razzismo, rischierebbe seriamente di incepparsi. Perché mai si dovrebbe aver paura di chi non ha commesso alcun reato, e ciò nonostante vive in gabbia come chi abbia una meritata pena da scontare? E come si fa ad aizzare l’odio, se la storia che ascolti è quella di una famiglia spezzata, perché lui immigrato è ingiustamente trattenuto lì anche se, come marito di una cittadina europea, avrebbe tutti i diritti di star fuori? E come si può incrementare una redditizia diffidenza, quando fai vedere che i ragazzi che oggi gridano «libertà» dai tetti dei Cie sono a volte quegli stessi che appena pochi mesi fa gridavano «libertà» nelle  piazze in rivolta del nord-Africa, suscitando in noi commozione e solidarietà? Conle manifestazioni di ieri – e con una mobilitazione che andrà avanti fino a che Maroni non avrà ritirato il divieto – l’informazione italiana ha fatto un passo in più per sottrarsi all’ingranaggio politico- mediatico che negli anni recenti ha rischiato di stritolarla. Ha affermato di non voler essere usata per spargere veleni nel corpo della comunità nazionale. Ha reclamato il più elementare e basilare dei suoi diritti-doveri: vedere, e poi raccontare quello che ha visto. E quando una rivendicazione non è corporativa, il diritto che difende si incontra e si rafforza coi diritti di altri: il diritto dei migranti ad un trattamento dignitoso; il diritto dei cittadini a formarsi un proprio consapevole giudizio, anziché restare in ostaggio di campagne populiste. Ma i giornalisti e le giornaliste davanti ai Cie fanno capire anche che la cronaca non è soltanto, necessariamente, quella dei delitti privati raccontati fino al dettaglio estremo: Meredith e Amanda, Sarah e zio Michele, Melania e Salvatore. Hanno assunto come metro professionale quello della rilevanza sociale, del valore pubblico di certi fatti, magari sfidando le leggi dell’audience e della tiratura. Così facendo, rendono un servizio non solo alla credibilità dell’informazione, ma persino alla credibilità delle istituzioni italiane. Perché Maroni, impedendo gli ingressi, si è assunto la grave responsabilità di far pensare che in quei luoghi vietati siano brutalmente calpestati i diritti di migliaia di esseri umani. Chi chiede di entrare ha davvero a cuore, senza alcuna retorica, il prestigio dell’Italia.

Fonte: l'Unità

26 luglio 2011

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