Donna reclusa al Cie di Roma denuncia: “Picchiata dai finanzieri”
Redattore Sociale
Nella foto i lividi sul corpo di una giovane detenuta tunisina, ora rilasciata dal Centro. Oggi “LasciateCIEntrare”, Flavio Lotti, coordinatore nazionale Tavola della pace, partecipa alla manifestazione a Roma.
ROMA – Le foto sono quattro e sono state scattate nel centro di identificazione e espulsione (Cie) di Ponte Galeria, a Roma. Si vede una giovane reclusa, tunisina. Mostra evidenti segni di percosse e manganellate sulla schiena e sul braccio. A picchiarla – denuncia – sarebbero stati due uomini della Guardia di Finanza di guardia al centro. "Stavamo giocando a calcio, io ho colpito la palla e ho preso una ragazza nigeriana sul viso, abbiamo iniziato ad insultarci e alla fine ci siamo prese per i capelli. Nessuna mollava la presa e sentendo le grida sono entrati tre uomini, due della Guardia di Finanza e uno in borghese. Hanno iniziato a manganellarmi per separarci, davanti a tutte le ragazze che assistevano alla scena. Sono stata picchiata dietro la schiena, sul braccio e alla spalla. Mi sono lamentata più volte con gli infermieri del Cie per i forti dolori chiedendo di poter essere accompagnata in ospedale. Ma mi hanno dato sempre e solo dei tranquillanti".
I fatti risalgono agli inizi di giugno. Le foto, scattate nella biblioteca del Cie romano, sono state consegnate al sito Fortress Europe (http://fortresseurope.blogspot.com/) che le diffonde in anteprima attraverso Redattore Sociale soltanto adesso perché nel frattempo la ragazza è stata rimessa in libertà e non rischia ritorsioni.
Non si tratta del primo episodio di violenza sulle donne nei centri di identificazione e espulsione. Già nel Cie di Milano era successo qualcosa di simile due anni fa. Niente manganelli. La violenza, tentata, era di un altro tipo: sessuale. In base alla denuncia, successe tutto la sera del 13 agosto 2009. Una ragazza nigeriana di 28 anni riposava su un materasso in mezzo al cortile, vestita di sola biancheria intima. Quando a un certo punto da dietro le si sedette sopra un poliziotto iniziando a palpeggiarla. E non un poliziotto qualunque, ma l'ispettore capo del Cie di Milano, Vittorio Addesso. Quando lei si girò di scatto iniziando a gridargli contro, lui le rispose di non agitarsi, che stava solo scherzando, e se ne andò. Questo stando alla ricostruzione dei fatti esposta da Joy, così si chiama la vittima dell'aggressione, nella denuncia che ha sporto contro l'ispettore Addesso. Una vicenda che però è finita nel niente. Con l'assoluzione con formula piena per l'ispettore, concessa il 2 febbraio 2011 dal giudice per l'udienza preliminare di Milano, Simone Luerti.
Fonte: Redattore Sociale
25 luglio 2011
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Legati con lo scotch e sedati. Il lato nascosto delle espulsioni
Le testimonianze dei reclusi nel Cie di Roma. Reclusi legati con lo scotch “come polli”. Iniezioni di tranquillizzanti per le ragazze. Il caso di un nigeriano picchiato sull'aereo per aver opposto resistenza
ROMA – Lo scotch serve a immobilizzare i reclusi. Basta girarlo più volte e ben stretto intorno ai polsi e alle gambe. E quando strillano pure sulla bocca. L'iniezione invece si fa alle ragazze sempre se oppongono resistenza. Infine le lamette, da rasoio. Quelle le usano uomini e donne. Ma serve tanta disperazione quanto coraggio. O ti ci tagli le vene o le ingoi. E se ti va bene che resti in vita, finisci al pronto soccorso da dove anche se non riesci a scappare, puoi comunque considerarti fortunato che non ti hanno rimpatriato. Parola dei detenuti del centro di identificazione e espulsione (Cie) di Ponte Galeria, a Roma. Li abbiamo raggiunti telefonicamente e ci siamo fatti raccontare come funzionano le espulsioni.
L'ultima volta sono entrati una settimana fa. Alle sei del mattino. Una ventina di agenti in tutto, tra quelli in divisa e quelli in borghese. Ridha dormiva ancora, sotto gli effetti degli psicofarmaci che prendeva ogni sera per scacciare i cattivi pensieri. Era arrivato a Lampedusa un paio di mesi prima. E dell'Italia aveva visto soltanto le gabbie. Prima quella del centro di accoglienza di Lampedusa, poi quella del Cie romano. Ha aperto gli occhi soltanto dopo che lo hanno alzato di peso dal materasso, tirandolo su per le braccia.
L'hanno portato via così, nonostante le proteste. “In pantaloncini corti e a torso nudo”. Tanto una maglietta si recupera sempre dal magazzino. “Non l'hanno nemmeno lasciato andare in bagno per sciacquarsi il viso e fare i suoi bisogni”. Il resto della scena i suoi compagni di cella l'hanno vista dalle finestre, nel cortile. “L'hanno legato come un pollo perché opponeva resistenza”. Una corda alle gambe e una ai polsi, con le braccia piegate dietro la schiena. E per non farlo gridare, gli hanno stretto una fascia sulla bocca e l'hanno portato via in quelle condizioni.
Funziona così al Cie di Roma, e non solo. La destinazione è a pochi chilometri. Aeroporto di Fiumicino. I voli sono quelli di linea, prima fanno salire i passeggeri e poi all'ultimo minuto monta la polizia con i reclusi da espellere. Quel giorno erano in 20. Tutti tunisini. Destinazione Palermo, per le operazioni di identificazione che svolge abitualmente il Consolato tunisino, direttamente in aeroporto. E da lì il volo per Tunisi su un charter. Non sempre però il rimpatrio va a buon fine. Nelle ultime due settimane, proteste e episodi di autolesionismo hanno fatto saltare almeno una decina di espulsioni programmate. Gli ultimi due nigeriani, un ragazzo e una ragazza, erano già saliti sull'aereo per Lagos, quando a bordo è scoppiata la protesta.
È successo tutto il pomeriggio del 19 luglio. Il ragazzo sono andati a prenderlo in cella di notte. Sono entrati in una decina di poliziotti e l'hanno immobilizzato con del nastro adesivo. La ragazza invece non ha opposto resistenza. Ma ha dovuto insistere perché non le facessero la “puntura”, come la chiamano le altre compagne di cella. Arrivati all'aeroporto di Fiumicino, il ragazzo ha di nuovo opposto resistenza. Ciononostante l'hanno caricato di forza sull'aereo ma lui ha continuato a divincolarsi anche a bordo del volo di linea. Fin quando – così ci raccontano – anche i passeggeri sarebbero intervenuti protestando per le violenze a bordo. Tutto annullato dunque. E così li hanno riportati a Ponte Galeria. Lui ha una benda sulla faccia. Sarebbe stato picchiato sia a bordo dell'aereo che dopo. La ragazza è sotto shock. E sotto shock sono anche le sue compagne di cella. Soprattutto la marocchina.
Fonte: Redattore Sociale
25 luglio 2011
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Quelli che per non essere espulsi si tagliano le vene
Continui episodi di autolesionismo al Cie di Roma. Il caso di una donna marocchina scappata da un marito violento. Ma ormai la polizia ci ha fatto l'abitudine e i rimpatri proseguono lo stesso
ROMA – Si chiama Fatima, ha 32 anni e viene da Khouribga. La capitale dei giacimenti di fosfato e dell'emigrazione marocchina in Italia. Un'economia gonfiata come una bolla di sapone dalle rimesse di tanti lavoratori espatriati e di qualche trafficante che in Italia, soprattutto a Torino, controlla droga, prostituzione e contraffazione dei documenti. Ma Khouribga è anche altro. È disoccupazione e miseria, vite di scarto tra cui si nascondono uomini alcolizzati e violenti. Uomini come il marito di Fatima. Suo padre la dette in sposa che aveva soltanto 14 anni. Le botte arrivarono poco dopo. Le cicatrici dei tagli delle bottigliate, sparse su tutto il corpo, sono lì a ricordarle ogni giorno da dove è scappata. Non dalla guerra, non dalla miseria. Semplicemente da un uomo violento e da una piccola cittadina di campagna dove non avrebbe potuto rifarsi una vita nonostante la giovane età. In Italia è arrivata un anno e mezzo fa con un visto che poi è scaduto. Sembrava un sogno, ma ormai assomiglia di più a un incubo.
Due giorni fa, quando sono venuti a annunciarle che lei e Khadija saranno espulse questa settimana, non c'ha più visto. E la tensione accumulata in quattro mesi e mezzo di detenzione dietro le sbarre di Ponte Galeria è esplosa in un unico gesto. Si è procurata un ferro e si è tagliata la pancia vicino alla cicatrice che le fa più male. Quella del parto cesareo, ricordo di un'operazione in cui perse i due bambini che aveva in grembo.
Fortunatamente i tagli che si è fatta sono soltanto superficiali e non rischia niente. In infermeria ieri ne hanno medicati altri due messi molto peggio di lei. Sono un tunisino e un marocchino. Si sono tagliati quando la polizia è venuta a chiamarli per il rimpatrio insieme a altri quattro arabi. Il tunisino vive in Italia da 19 anni ed è rinchiuso nel Cie da cinque mesi. Lui è il meno grave, qualche taglio alle gambe e al braccio sinistro. Per il marocchino invece la situazione è più complicata. Perché i tagli sono più profondi. Ma a Ponte Galeria nessuno più si scandalizza per il sangue che schizza.
La polizia glielo ha già detto. “Se non volete venire con le buone, la prossima volta facciamo alla nostra maniera”. Aspetteranno qualche giorno, e torneranno a prenderli. Stavolta però con i manganelli e il nastro adesivo, quello marrone, per impacchettarli tipo un pacco postale.
In quei casi l'unica cosa da fare è ingoiare una lametta. Difficile portarla fuori, perché prima di caricare i reclusi sulla volante per l'aeroporto, la prassi è di spogliarli nudi e di perquisirli dappertutto, genitali compresi. A volte però ci riescono lo stesso.
Ci è riuscito un tunisino la settimana scorsa. L'hanno tenuto un giorno in isolamento, e il giovedì l'hanno preso per portarlo in aeroporto, ma quello si è ingoiato una lametta che era riuscito a tenere nascosta. L'obiettivo era perdere l'aereo, farsi medicare e scappare. Le cure sono arrivate, ma la fuga no. L'hanno riempito di botte e riportato al Cie il giorno dopo, segnato sul collo e sulla schiena dagli ematomi del pestaggio. Niente di cui scandalizzarsi. Con gli ossi duri non si usano cortesie. Aspetteranno qualche giorno e torneranno a prenderlo. Alla loro maniera. Tanto adesso che la stampa non entra più nei Cie, non c'è nessuno che controlla.
Fonte: Redattore Sociale
25 luglio 2011