“L’italia non si ripieghi, ci serve la sua sponda”
Umberto De Giovannangeli - L'Unità
Intervista a Predrag Matvejevic. Il grande intellettuale che insegna a Zagabria: «La patria europea è il futuro e ci aiuterà a spazzar via i nazionalismi asfittici nati da odio e pulizie etniche».
La «patria europea» è l'unica che può spazzar via i Muri dei nazionalismi che sono stati innalzati nel corso degli anni, quei Muri dell'odio e della contrapposizione identitaria che hanno segnato tragicamente i Balcani. A parlare è Predrag Matvejevic, scrittore, saggista, già docente di slavistica all'Università La Sapienza di Roma e alla Sorbona di Parigi. Il suo percorso culturale e umano (nato a Mostar, da madre croata e padre russo) è quello di un intellettuale che ha cercato nel cuore dell'inferno balcanico di costruire ponti di dialogo tra identità, etniche e religiose, diverse e spesso violentemente contrapposte. Oggi, Matvejevic vive a Zagabria. E dal suo osservatorio croato, riflette: «Oggi dice a l'Unità c'è ancor più bisogno di Europa e d'Italia nei Paesi della ex-Jugoslavia, perché il campo della democrazia e della convivenza va continuamente arato perché i suoi frutti possano crescere rigogliosi. Una consapevolezza che ho colto appieno nella recente visita a Zagabria del Presidente Napolitano».
Professore, dal suo osservatorio balcanico, quale consiglio si sente di dare all'Italia? «Più che di consiglio, parlerei di speranza: che l'Italia non ripieghi su se stessa, ma esalti quella vocazione cosmopolita che è nelle corde della sua grande tradizione culturale. Non si tratta solo di una vicinanza geografica. Esiste, non solo in Croazia, ma anche in Slovenia come in Bosnia, una intellighenzia che tiene molto ai rapporti con l'Italia. All'Università di Zagabria, dove insegno, la lingua italiana è una materia molto seguita. L'Italia non deve smarrire questo patrimonio di credibilità che deriva dalla sua cultura, dalla sua storia. Di fronte a processi di democratizzazione tutt'altro che portati a compimento, nei Balcani c'è ancor più bisogno di Italia e di Europa».
Perché c'è oggi più bisogno di Europa nei Balcani? «Perché la patria europea è l'unica che può ambire a spazzar via quei Muri nazionalisti che sono stati innalzati nel corso degli anni. I nazionalisti hanno una idea molto riduttiva, asfittica, dell'identità. L'Europa è il futuro, mentre i nazionalisti rappresentano il passato. Un passato segnato da guerre, pulizie etniche, crimini efferati commessi nel nome di una identità etno-nazionalista che non accettava l'esistenza dell'altro da sé se non come minaccia, come pericolo mortale, come nemico da eliminare con ogni mezzo. Mi lasci aggiungere che una patria europea non significa, almeno per me, omologazione, cancellazione di culture comunitarie, significa l'esatto opposto: operare una sintesi più alta, propria di una Europa che vive le diversità come arricchimento e non come minaccia. Un'Europa fondata su una democrazia multietnica e pluriculturale. Questa è la sfida del terzo millennio. Una sfida epocale».
Per tornare alla realtà croata. Qual è la sua speranza? «Nei giorni scorsi ho avuto modo di assistere all'incontro a Zagabria tra il capo dello Stato italiano, Giorgio Napolitano, e quello croato, Ivo Josipovic. Mi ha aperto il cuore vedere come due persone, sia pur di generazioni e vissuti diversi, parlassero in fondo la stesa lingua: quella dell'apertura di orizzonti comuni, a cominciare dal rispetto dei diritti delle minoranze. Ed è importante il sostegno dell'Italia, ribadito da Napolitano, all'adesione della Croazia all'Unione Europea. Josipovic (eletto alla Presidenza nel gennaio del 2010 con il 60,3% dei voti, ndr) ha avuto il coraggio di sfidare lo spirito nazionalista che segna ancora una parte dell'opinione pubblica croata. Il prossimo novembre, in Croazia ci saranno le elezioni parlamentari. Un appuntamento cruciale per chiudere con quel passato nazionalista incarnato dal predecessore di Josipovic, Stipe Mesic. Più Europa vuol dire anche questo: aiutare la Croazia a investire sul futuro».
A proposito del passato, cosa ha rappresentato per lei l'arresto di Ratko Mladic? «Un atto di giustizia per le vittime di quella immonda pulizia etnica e per i sopravvissuti. Un atto avvenuto con quindici anni di ritardo, ma è il caso di dire, meglio tardi che mai».
Fonte: L'Unità
18 luglio 2011