Somalia: tra interessi e lotte di potere


Misna


Pochi giorni fa il primo ministro Mohammed Abdullahi Mohammed ha annunciato le dimissioni. Una decisione che ha determinato proteste di piazza. Uno scenario complesso e sempre più complicato da lotte intestine e interessi di parte di cui la MISNA ha parlato con Mario Raffaelli, presidente di Amref.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Somalia: tra interessi e lotte di potere

Pochi giorni fa il primo ministro Mohammed Abdullahi Mohammed ha annunciato le dimissioni. Una decisione – prevista dagli accordi di Kampala, tra presidente Sheikh Sharif Sheikh Hassan e il presidente del parlamento Sharif Hassan Sheik Aden – che ha determinato proteste di piazza alimentate da voci non confermate, di ‘pressioni’ esterne sulle sorti delle Istituzione federali di transizione in scadenza di mandato. Uno scenario complesso e sempre più complicato da lotte intestine e interessi di parte di cui la MISNA ha parlato con Mario Raffaelli, presidente di Amref, esperto ed attento osservatore della crisi somala.
E’ una stagione difficilissima: le sconfitte imposte sul campo al movimento ‘Shebaab’ non hanno prodotto significati di rilievo perche si inseriscono in un contesto di tensione e divisione all’interno delle istituzioni somale. L’impressione è che nel paese convivano due realtà parallele e distanti: quella delle istituzioni, concentrate sui loro giochi di potere e sugli equilibri clanici, e quella della gente normale, stremata da oltre vent’anni di guerra e ormai sprofondata in un conflitto di cui non si vede la via d’uscita. Ma in questi ultimi mesi, la situazione ha raggiunto addirittura livelli paradossali, con l’Amisom, e quindi il suo principale contributore, l’Uganda, che impone al primo ministro di rassegnare le dimissioni mentre la Comunità internazionale, sostanzialmente, tace.
Che ruolo svolge Amisom nell’intricato equilibrio di poteri somalo?

La missione dell’Unione Africana e le autorità di Mogadiscio sono ormai legate a doppio filo. Non può esserci l’una senza l’altra. Il governo dipende dai militari per la sua stessa sopravvivenza ma – come evidenziato dalla recente crisi politica – non può esserci Amisom senza un governo e delle istituzioni a guidare la transizione, che giustifichino la presenza dei contingenti africani sul suolo somalo.
Per gli accordi di Kampala si è parlato di influenze ‘esterne’. Chi sono gli altri protagonisti sulla scena?
La dimensione regionale, lo si è sempre detto, è fondamentale per trovare una via d’uscita al conflitto somalo, ma nell’esitazione della comunità internazionale, il presidente ugandese Yoweri Museveni ha trovato terreno fertile per sostenere una soluzione da cui – come suggeriscono gli osservatori più maliziosi – il suo paese trarrà parecchi vantaggi, oltre a segnare un punto importante nella sua strategia volta a trasformare l’Uganda in una presenza ‘di peso’ nel contesto regionale dell’Africa Orientale.
L’Italia ha di recente annunciato l’apertura di un’ambasciata a Mogadiscio. Opportunità o strategia?
L’apertura di un’ambasciata e altri punti di contatto con il territorio possono rivelarsi utili soprattutto nell’ottica di una strategia ‘binaria’ che all’interventismo militare affianchi cioè la via diplomatica. In questo senso, l’anno di proroga sancito dall’accordo di Kampala, non deve costituire un semplice rinvio, ma l’occasione per individuare canali e contatti da attivare in una seconda fase negoziale e di ricostruzione del tessuto politico somalo.
Vent’anni di conflitto hanno determinato una crisi umanitaria senza paragoni. Cosa dovrebbe fare la Comunità internazionale per uscire dall’impasse?

Bisognerebbe dare un appoggio selettivo alle diverse realtà sul campo: sostenere Somaliland e Puntland, uniche regioni in cui esiste una situazione di stabilità che consentono di avere un rapporto completo e diretto, offrendo al tempo stesso nelle aree sotto il controllo degli Shabaab aiuto umanitario, purché sia concessa la libera circolazione delle organizzazioni umanitarie. Agli interventi e ai conflitti militari bisogna accompagnare interventi di altra natura, altrimenti di questa notte, che dura da oltre 20 anni, non riusciremo a vedere la fine.

Fonte: Misna

24 giugno 2011

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento