Quando le parole sposano la follia
Piero Piraccini
Le parole sono il denaro dei folli, scriveva Thomas Hobbes. Rifacendosi al sarsinate Plauto, aveva poi detto che nello stato di natura vige la “legge” di guerra di tutti contro tutti, che l’uomo dominato dall’istinto di sopravvivenza è un lupo per ogni altro uomo. Il problema nasce quando saltano le regole sorte dall’inferno della seconda […]
Le parole sono il denaro dei folli, scriveva Thomas Hobbes. Rifacendosi al sarsinate Plauto, aveva poi detto che nello stato di natura vige la “legge” di guerra di tutti contro tutti, che l’uomo dominato dall’istinto di sopravvivenza è un lupo per ogni altro uomo.
Il problema nasce quando saltano le regole sorte dall’inferno della seconda guerra mondiale, perché nessuno fosse lupo per l’altro. E allora, chi può contare solo sul diritto non ha scampo.
Si rileggano le parole dell’allora primo ministro israeliano Begin, lui che nel 1982 aveva ordinato l’invasione del Libano (operazione pace in Galilea, l’aveva chiamata) e aveva assistito compiaciuto alla strage di palestinesi e di sciti libanesi a Sabra e Shatila; lui che Einstein e Hanna Arendt, entrambi di famiglia ebraica, avevano accusato di fascismo, di terrorismo, di propagandare idee di superiorità razziale: “La nostra razza è la razza suprema. Siamo le divinità in questo pianeta. Siamo così diversi dalle razze inferiori come loro lo sono dagli insetti. Infatti, rispetto alla nostra razza, le altre razze sono bestie e animali, bestiame al meglio. Le altre razze sono considerate come strumenti umani. Il nostro regno terreno sarà governato dal nostro capo con verga di ferro. Le masse ci leccheranno i piedi e ci serviranno come nostri schiavi”.
Sono parole di follia che i palestinesi provano da decenni sulla propria pelle. Solo che quando la follia è appannaggio di chi possiede la forza (gli eredi di Begin, oggi), per di più sostenuta da chi ne possiede in quantità ancora maggiore (gli USA, siano essi rappresentati da un presidente declinante o da una donna che spesso ride a sproposito), allora il mondo trema perché sta ballando sul filo dell’orrore fino a mettere sul piatto delle cose possibili l’uso di quell’atomica che ha dissolto migliaia di persone in un attimo.
All’orizzonte finti tentativi di risolvere i contrasti con la diplomazia. L’ONU è irrisa. Il rappresentante israeliano tritura la carta dell’ONU davanti al Segretario generale considerato “persona non gradita a Israele”. Eppure l’ONU è nata per far sì che alle future generazioni fosse risparmiato il flagello della guerra quando ancora giacevano cadaveri dissepolti fra macerie fumanti, fossero opera di chi era dalla parte sbagliata della storia o dalla parte giusta perché questa è la guerra. Per dare più sostanza a quell’ONU si sono scritte norme, individuati istituti, approvati patti che hanno dato forma al diritto internazionale, il faro che dà legittimità all’agire degli stati.
La Corte penale internazionale chiede l’arresto di Netanyahu e dei capi di Hamas (quelli ancora vivi) e la Corte internazionale di Giustizia parla di genocidio a Gaza e di crimini contro l’umanità? Fa niente, non succede nulla, solo carte su carte. L’Italia tace e all’ONU si astiene.
Al massimo ripete l’ormai impossibile mantra dei due stati per due popoli. Dall’Europa nata da un sogno di pace non esce un solo vagito, capace unicamente di parlare di armi tradisce il divieto di fare propaganda di guerra con le parole dell’ex ministro degli esteri che attribuisce a Putin – come da manuale propagandistico – l’intenzionalità autodistruttiva di attaccare i paesi Nato da cui è ormai circondato. E rincara con parole folli: “Se vogliamo la pace prepariamoci alla guerra.
Serve spendere di più per la difesa e produrre armi”. Fa niente se si legge che le spese militari dei paesi europei aderenti alla NATO sono quattro volte superiori a quelle della spesa militare della Russia. Non diverse le parole di Draghi perché l’Europa del futuro sia competitiva: servirà ogni anno una montagna di euro (800) per finanziare l’industria dei carri armati e dei missili, della tecnologia digitale e delle infrastrutture perché la pace, i diritti, la politica si fanno con le armi in pugno…