Dentro e fuori dalla cella, la Palestina è un carcere!
Michele Giorgio
Intervista a Francesca Albanese, giurista e Relatrice speciale per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati.
«L’occupazione militare israeliana ha trasformato l’intero territorio palestinese occupato in una prigione a cielo aperto, dove i palestinesi sono costantemente rinchiusi e sorvegliati». È questa la denuncia contenuta nell’ultimo rapporto presentato alle Nazioni unite da Francesca Albanese, giurista e Relatrice speciale per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati.
Dal 1967, riferisce Albanese, oltre 800.000 palestinesi, compresi bambini, sono stati arrestati e detenuti in base a regole autoritarie applicate dall’esercito israeliano.
Alla Relatrice abbiamo rivolto qualche domanda.
Francesca Albanese, la detenzione arbitraria è uno degli aspetti centrali della sua inchiesta
Ho preso in esame in particolare i presupposti normativi per cui la detenzione arbitraria è condotta dalle forze di occupazione israeliane. I palestinesi sono soggetti a lunghe detenzioni anche per aver espresso opinioni, pronunciato discorsi politici non autorizzati. Spesso sono ritenuti colpevoli senza prove, arrestati senza mandato, detenuti senza accusa né processo e brutalizzati durante la custodia. Il focus è sui palestinesi, perché sono i palestinesi ad essere incarcerati nel territorio occupato tanto da Israele quanto dalle autorità palestinesi in Cisgiordania e Gaza. Senza condonare o giustificare in alcun modo gli atti di violenza che commettono i palestinesi, ho riscontrato, come altri prima di me, che la maggior parte dei casi di detenzione non avviene in conseguenza di crimini o reati. Avviene per aver commesso azioni che dal punto di vista del diritto internazionale sono semplici atti di vita ordinaria. Per capirci, parliamo dell’attraversare una zona nel territorio occupato che Israele dichiara per qualche motivo chiusa. Organizzare una riunione di 10 o più persone in cui si parla di temi politici senza l’autorizzazione del governo (militare) comporta l’arresto fino a 10 anni. Il 95% dei palestinesi viene arrestato in prossimità delle colonie israeliane che ormai sono 270 nel territorio occupato, con 750.000 coloni.
Tutto ciò, lei afferma, avviene in un contesto che definisce di «carceralità diffusa».
Sì, descrivo l’ingabbiamento della popolazione. Si pensi al Muro (alzato da Israele in Cisgiordania, ndr), alle colonie che sono costruite per circondare, per strozzare la crescita urbana delle città e dei villaggi palestinesi. Si pensi ai 400 km di strade segregate che non sono accessibili e utilizzabili dai palestinesi e a come spezzino la continuità del territorio palestinese. Poi ci sono i permessi che i palestinesi devono ottenere per costruire una casa, prendere la residenza, andare in una determinata scuola, per viaggiare all’estero, per ricevere visite familiari. Persino le relazioni amorose sono regolate da ordini militari.
Quanto queste detenzioni sono la conseguenza anche della sorveglianza digitale.
Per questo argomento mi sono state utili le testimonianze dei militari dell’associazione (israeliana) Breaking the silence, che ben spiegano come la tecnologia digitale che si è sviluppata negli ultimi 10 -15 anni abbia cambiato il modo di controllare e monitorare i palestinesi. Dal seguire le loro conversazioni su Facebook al monitoraggio dei flussi telefonici. Fino alla triangolazione di tutte le informazioni sulla loro vita, anche i controlli medici. I palestinesi sono facilmente ricattabili perché tutte le loro informazioni private sono nelle mani degli israeliani. Dal 2013 in poi sono aumentati gli arresti preventivi in seguito all’utilizzo dei social media.
I palestinesi denunciano il sistema della doppia giustizia in Cisgiordania: loro sono giudicati dalle corti militari, i coloni dalle corti civili.
Questo dualismo legale che è stato criticato in passato anche dall’ex giudice della Corte suprema israeliana Barack. E ha permesso il cristallizzarsi dell’apartheid. La vita dei palestinesi è regolata da legge marziale. Anche i minori palestinesi vengono portati dinanzi a giudici militari. Ben diverso è il caso dei coloni che pure si macchiano di gravi reati contro i civili palestinesi e le loro proprietà. Raramente sono portati in giudizio. Più che di doppia giustizia dobbiamo parlare di impunità per i coloni israeliani.
Pagine Esteri
di Michele Giorgio
(questa intervista è stata pubblicata il 3 agosto dal quotidiano Il Manifesto)