La guerra non è a termine: o si fa o non si fa!


Il Fatto Quotidiano


Giampiero Gramaglia commenta la chiusura della riunione del Gruppo di Contatto sulla Libia. Frattini: “Istituito fondo speciale per i ribelli”


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La guerra non è a termine: o si fa o non si fa!

Mercoledì, mentre il Parlamento italiano votava sulla missione in Libia, bombe sì, ma a termine, il segretario generale dell’Alleanza atlantica Anders Fogh Rasmussen ricordava ai giornalisti le tre condizioni fissate dai ministri degli esteri dell’Alleanza, riunitisi a Berlino in aprile, per sospendere gli attacchi della Nato sulla Libia, in corso dal 20 marzo: la sospensione di tutti gli attacchi contro i ribelli e i civili; il ritorno nelle loro basi di tutte le forze militari e paramilitari fedeli al regime; la garanzia che gli aiuti umanitari possano essere distribuiti in modo libero e sicuro.

Rasmussen ripeteva: «Lo abbiamo deciso insieme a Berlino», presente il ministro degli esteri italiano Franco Frattini. «Quando questi obiettivi saranno stati raggiunti, la missione della Nato in Libia sarà conclusa». E ai giornalisti che lo interrogavano sulla pretesa dell’Italia di fissare una scadenza per la fine degli attacchi della Nato, Rasmussen rispondeva, con l’aria di chi ripete una lezione fin troppo nota: «Non si può fissare una data. Sono quelle tre condizioni che determinano la durata dell’operazione ».

Ora, uno può pensare che Rasmussen, un ex premier danese, conservatore, buon amico del presidente Bush – mica solo Silvio lo era -, pecchi di rigidità nordica nel recepire l’astuta sottigliezza dei messaggi politici italici. Ma, oggi, le stesse cose le ha dette, con parole analoghe, l’ammiraglio Giampaolo di Paola, un ex capo di Stato Maggiore della Difesa italiano, oggi presidente del comitato militare della Nato. E l’ammiraglio le sottigliezze italiche le coglie. Il fatto è che la guerra non si fa a termine: quando la s’incomincia, non si sa mai di sicuro quando, e come, andrà a finire.

Lo sanno pure, siatene certi, Frattini e il ministro della difesa Ignazio La Russa, ma talora fa comodo dimenticarsene. Guardate la guerra al terrorismo, che i militari americani chiamarono, fin dalla prime battute, «the long war», la lunga guerra: ci sono voluti quasi 10 anni per quei 38 minuti del blitz letale contro Osama bin Laden, che Hillary Clinton, oggi, a Roma, ha definito «i minuti più intensi della mia vita», aggiungendo che «la lotta non finisce» con la morte del capo di al Qaida.

Al Gruppo di Contatto sulla Libia, che stanzia aiuti per la Libia per 250 milioni di dollari e avalla i capi d’accusa ipotizzati dal tribunale dell’Onu per crimini contro l’umanità contro Muammar Gheddafi, Frattini, come se la mozione del Parlamento nulla fosse, conferma l’impegno dell’Italia nelle missioni internazionali. Un impegno a termine? Il ministro glissa, ma ne dice una nuova, il “cessate-il-fuoco” ci sarà entro poche settimane. Magari sarà vero, specie se l’Alleanza non fisserà limiti di tempo alla sua azione. La guerra non si fa a termine, né «solo un poco»: o la si fa, o non la si fa. Potendo scegliere, la seconda è meglio, ma bisogna pensarci prima.

Fonte: Il Fatto quotidiano, Blog di Giampiero Gramaglia

5 maggio 2011

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Libia, chiusa riunione del Gruppo di Contatto. Frattini: “Istituito fondo speciale per i ribelli”

I beni del regime di Muammar Gheddafi saranno scongelati e confluiranno in un fondo speciale per i ribelli. Dopo settimane di studio, la proposta è stata approvata durante la seconda riunione del Gruppo di Contatto per la Libia, oggi alla Farnesina. Un sostegno necessario a quella che non è una “guerra civile”, ha sottolineato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ma la “resistenza del popolo libico” contro gli attacchi del rais. E tra i paesi della coalizione internazionale, ha confermato Frattini, ci sono “unità d’intenti e determinazione” su come affrontare la crisi libica. In cui non ci sarebbe “nessun senso di affaticamento, nessuno stallo”. Per quanto riguarda invece l’eventuale rifornimento di armi ai ribelli, il ministro ha fatto sapere di averne discusso con i partner internazionali. “Abbiamo concluso – ha spiegato – che l’equipaggiamento e tutto ciò che occorre per l’autodifesa può rientrare in un quadro di legittimità internazionale”.

Oltre che di strumenti concreti nell’incontro si è discusso di una soluzione politica alla questione, “che veda ovviamente la pressione militare come strumento per convincere al più presto il regime a cessare gli attacchi contro i civili libici”, ha spiegato Frattini. E subito dopo avviare un “processo politico” in cui è importante la volontà già espressa dal Consiglio nazionale transitorio di Bengasi di organizzare presto le elezioni municipali nei territori sotto il suo controllo.

L’impegno della comunità internazionale dovrà essere costante ed è soprattutto necessario. Secondo Frattini, “non dobbiamo lasciare una Libia divisa e insicura in balia dei mercenari di Gheddafi, dobbiamo mantenere alta la pressione” anche per convincere quanti sono ancora vicini al Colonnello a passarre dalla parte degli insorti. E’ stato deciso oggi che il Gruppo si riunirà negli Emirati Arabi Uniti per il prossimo incontro, il terzo dopo quelli tenuti a Doha e a Roma.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

5 maggio 2011

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