Contro la guerra, i ruoli e la violenza di genere


il Manifesto


«No ai rituali, oggi è un giorno di lotta» 8 marzo. Sciopero transfemminista, decine di migliaia di donne nelle piazze d’Italia: «Un processo che dura tutto l’anno». Contro la guerra, i ruoli e la violenza di genere. E lavoratrici e studenti occupano.


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«Siete pronte?». Dal camion con il muso rivolto alla stazione Termini e addobbato con gli slogan dello sciopero transfemminista, le ragazze a bordo chiamano quelle a terra. Si parte, in marcia, ma prima doverosi auguri a due compagne che si sono appena sposate e le note di Maledetta primavera ad accompagnare un fiume di mani in alto, «vagine alzate». E oggi si sciopera.

COME LAVORATRICI fuori, lavoratrici in casa, come soggetto da costringere in ruoli utili ad altri, produttivo e riproduttivo. Sono migliaia a Roma, un tappeto di fazzoletti viola. Altre decine di migliaia nel resto d’Italia (a Milano, Bologna, Torino, Napoli, Palermo, L’Aquila..) perché ieri l’8 marzo era una mobilitazione diffusa.

Per riprendersi i territori: «Stiamo con i piedi sui territori perché l’8 marzo è una processualità che dura tutto l’anno – ci spiega Teresa dell’Assemblea di Non una di meno Roma – Una giornata di sciopero dalla produzione e la riproduzione sociale, dai consumi e dal genere che abbiamo deciso di agire nei luoghi che attraversiamo e abitiamo. Siamo unite dalla trama della sorellanza collettiva e lo sciopero è globale».

Fin dal mattino le azioni e flash mob hanno fatto segnare puntini sulla mappa transfemminista: a Padova in 300 hanno occupato il Liceo Marchesi per «parlare dei problemi del sistema scolastico in relazione alla violenza patriarcale» mentre le lavoratrici DeLonghi manifestavano e quelle delle pulizie presidiavano l’Agenzia delle entrate; a Mestre nuove «sanzioni» alle sedi dei centri pro-vita, come successo già domenica a Roma; a Bologna le lavoratrici delle biglietterie Tper le hanno occupate, mentre a Villanova di Castenaso toccava alla sede della Coop; e a Roma davanti Montecitorio, per ribadire la crisi sistemica esacerbata dalla pandemia, lo striscione parlava da sé: «Vostre le sanzioni, nostre le bollette. Misure urgenti contro il carovita».

NEL POMERIGGIO nella capitale si parte che ancora il sole illumina le strade. Ci sono le donne delle occupazioni contro gli sgomberi, le studenti medie e le universitarie, donne tigrine e curde. Le bandiere di partito e i sindacati di base, gli arcobaleni della pace e quelli Lgbtqipa+. Sulle strisce pedonali un gruppo di ragazze si dipinge il volto, un altro scrive con lo stencil sui muri: «Il patriarcato uccide, smetti subito».

«Guai a chi ci tocca. Nessun consenso al patriarcato, transfemminista sia lo Stato. Feminists against the war», gli slogan sul camion. Sotto, c’è la critica al capitalismo e alla guerra, al centro di questo 8 marzo.

«LA GUERRA è espressione massima delle asimmetrie di potere e della violenza patriarcale – continua Teresa – Non possiamo ignorare cosa succede. C’è un ragionamento collettivo sulla violenza sistemica, contro lo sfruttamento e per un reddito di autonomia che ci permetta di essere libere dal ricatto, ma anche per rimettere al centro il dibattito pubblico sulla cura. Questa guerra di imperialismi riaccende il fuoco su temi che attraversano le nostre vite costantemente».

La guerra la conoscono le donne del Tigray, presenti con i loro colori e un grande cartello: basta violenza sessuale in Tigray. Tsegs vive in Italia da anni. In Etiopia ha lasciato la sua famiglia: «Nel nostro paese c’è la guerra da quasi un anno. Ammazzano donne e bambini, lo fanno i militari etiopi ed eritrei. E usano lo stupro come arma di guerra, sulle donne tigrine».

UN GRUPPO di universitarie regge un grande cartone marrone, «Smash the patriarchy». «Questa viene confusa con una giornata di festa ma è una giornata di lotta e di ricostruzione – ci dice Eleonora – Ci sono stati progressi ma la violenza fa ancora parte del nostro sistema e della nostra cultura. Non vogliamo mimose, ci riportano a un’ottica culturale maschile. Ci vuole educazione perché la violenza sulle donne riguarda tutti».

«I progressi ci sono stati ma sono messi in discussione, ci ritroviamo a combattere per cose che avevamo già ottenuto», aggiunge Elisa. Il patriarcato lo vivono già, tra i banchi di scuola e ora dell’università dove resistono divisioni di genere: «Ci sono ancora facoltà considerate femminili, altre che sono presidi maschili. Esiste una divisione nel sapere».

Sara ha studiato in un istituto tecnico industriale: «Ho visto minimi cambiamenti, alla fine del mio quinto anno vedevo iscriversi al primo anno tante ragazze. Elettronica che si popolava di ragazze. Perché siamo valide ovunque».

E SI COSTRUISCE ovunque: «In Italia e in Europa abbiamo esperienze di autorganizzazione femminista e transfemminista – ci dice Norma di Rete Kurdistan – Collettivi, comitati, case delle donne, centri antiviolenza. Quello delle donne curde è un esempio per il Medio Oriente ma anche per noi: la solidarietà tra i continenti. Non una di meno ne è un esempio: dall’Argentina in pochi anni ha ri-trasformato a livello globale anche l’8 marzo. Da rituale è tornato lotta e sciopero in ogni ambito della vita delle donne. In mezzo ci sono le esperienze dal basso che ogni paese a suo modo sta coltivando».

Chiara Cruciani
Il Manifesto
8 Marzo 2022

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