Strage all’aeroporto


Emanuele Giordana - Lettera22


Tra risse e/o attentati un brutto segnale dall’Afghanistan.


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Strage all'aeroporto

Il primo comunicato è laconico in perfetto stile militare: ''…alle 10.25 e' stata segnalata una sparatoria con armi automatiche all'interno della base di addestramento aeronautico della Nato per cui e' stata inviata una Forza di reazione rapida…'' Una brutta storia che col correre delle ore presenta un bilancio da strage: nove militari della Nato e un contractor uccisi e cinque soldati afgani feriti. Il colpevole, di nome Ahmad Gul anche lui morto, era un pilota dell'esercito afgano. I talebani rivendicano a breve giro di comunicato anche se qualche dubbio è lecito avanzarlo e si avanza l'ipotesi di un diverbio finito nel sangue. Le rivendicazioni del resto seguono sempre qualsiasi azioni: “mettono il cappello”, anzi il turbante, salvo smentite.

Rissa o attentato che sia conviene intanto situare il luogo del conflitto a fuoco: l'aeroporto militare internazionale ai confini settentrionali della capitale afgana, nel Nordest di Kabul. Fino a ieri sinonimo di sicurezza inviolabile.
L'aeroporto militare di Kabul è una struttura completamente rinnovata da due anni e, in molte strutture, nuova di zecca. Entrarci è difficile come uscirne. Se se non siete su un mezzo militare, se non siete passeggeri di una macchina con targa diplomatica (che le targhe spesso non le esibiscono), con un permesso speciale, anzi specialissimo, l'accesso è vietato. Il check point è severissimo e, comunque, una volta entrati, ci sono da fare quasi due chilometri per arrivare al gate delle partenze. Se vi hanno depositato all'ingresso e non avete qualcuno che vi viene a prendere, dovreste vagare a piedi in una sorta di terra di nessuno protetta da alti muri di cemento armato che circondano un perimetro rettangolare arido e vastissimo, una delle zone più off limits della città. E, a piedi, non vi ci fanno andare mentre solo un paio d'anni fa (ma l'ingresso era assai più vicino alla stazione) era possibile. Ma è anche vero che oggi, pur essendo aumentate a dismisura le misure di sicurezza che impediscono l'avvicinamento, se avete i documenti in regola potreste entrare con un bombardiere in pezzi da assemblare: al check point non ci sono scanner o controlli personali come avveniva una volta. C'è, insomma, pur sempre qualche falla e, come ovunque, anche questa fortezza è forse espugnabile.

La stazione è una costruzione di mattoni rossi che fa apparire lo scalo quasi un aeroporto normale. E' tutto intorno che baracche militari, hangar per gli aerei, magazzini, rimesse, file di mezzi blindati vi dicono che siete nel cuore dell'occupazione militare occidentale in Afghanistan. Qui gli italiani, là i belgi, più in là gli americani. Divise e mimetiche di ogni ordine e grado: un battaglione francese che torna a casa, il contingente greco che è appena arrivato.
L'aeroporto è uno degli obiettivi preferiti dai talebani: ci provano sempre col lancio di qualche missile che finisce inevitabilmente su Microyan, il quartiere appena fuori dove i razzi talebani colpiscono più civili che militari. Tant'è, il sogno di qualsiasi mullah Omar sarebbe espugnarlo questo castello che, da come è stato costruito, ha più l'aria di una struttura per chi vuol rimanere che per chi vuole andarsene. Ma viene da dubitare che, oltre ai razzi, i talebani abbiano anche solo pensato a violarla. E dunque la lettura dell' “incidente”, della rissa, dell'incomprensione che si fa rabbia può prendere corpo più facilmente.

Si tratta del settimo episodio di questo tipo in un anno, in cui membri delle forze armate afgane uccidono soldati stranieri o colleghi. Un trend che impressiona tra infortunio e attentato, simbolo di una relazione tra due mondi che spesso non riescono a parlarsi.

Fonte: Lettera22, il riformista

28 aprile 2011

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