Fermiamo questo naufragio di civiltà!
Avvenire
Papa Francesco tra i profughi di Lesbo: “Si offende Dio, disprezzando l’uomo creato a sua immagine, lasciandolo in balia delle onde, nello sciabordio dell’indifferenza, talvolta giustificata persino in nome di presunti valori cristiani»
Una striscia azzurra è il confine del dolore. Ziaghul si trincera dietro la mascherina e stringe la mano ai due figli piccoli per entrare nella tenda a ridosso del mare. Ha 34 anni, viene dall’Afghanistan. Per approdare al Reception and identification centre di Mytilene, il campo profughi nell’Isola greca di Lesbo, ha attraversato a piedi l’Iran e la Turchia. Accanto a lei Masoora con il capo velato, sopravvissuta all’Isis in Iraq, guarda i suoi bambini e come lei donne e uomini afghani, siriani, iracheni, africani aspettano di avere una vita.
«Sono qui per vedere i vostri volti, sono qui per guardarvi negli occhi. Occhi carichi di paura e di attesa, occhi che hanno visto violenza e povertà, occhi solcati da troppe lacrime». Sono le prime parole che papa Francesco ha detto andando loro incontro, dopo aver attraversato le file di container grigi di questo nuovo campo profughi a cinque miglia dalle coste turche, dove attualmente si trovano due migliaia di persone.
È l’ultimo hotspot sorto nell’isola di Saffo che sostituisce il Mória Refugee Camp, il più grande campo profughi d’Europa fino al settembre 2020, quando venne distrutto da un incendio. Si trovava fuori dal villaggio di Mória vicino a Mytilene ed è lì che Papa Francesco insieme a Ieronimos, arcivescovo ortodosso di Atene e a Bartolomeo, patriarca ecumenico di Costantinopoli, era venuto in visita la prima volta il 16 aprile 2016.
«Chi ha paura di voi non vi ha guardato negli occhi. Chi ha paura di voi non ha visto i vostri volti. Chi ha paura di voi non vede i vostri figli. Dimentica che la dignità e la libertà trascendono paura e divisione. Dimentica che la migrazione non è un problema del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale, dell’Europa e della Grecia. È un problema del mondo» ha detto il Papa riprendo le parole che Bartolomeo pronunciò a Lesbo cinque anni fa.
«Sì – ha commentato Francesco – è un problema del mondo, una crisi umanitaria che riguarda tutti». Ma mentre con la pandemia si è capito che le questioni vanno affrontate a livello comunitario, mentre si stanno faticosamente portando avanti le vaccinazioni a livello planetario e qualcosa – ha detto il Papa – pur tra molti ritardi e incertezze, sembra muoversi, nella lotta ai cambiamenti climatici, invece tutto «sembra latitare terribilmente per quanto riguarda le migrazioni». Eppure – ha continuato – ci sono in gioco persone, vite umane! C’è in gioco il futuro di tutti, che sarà sereno solo se sarà integrato».
E si deve ammettere, per il Papa, che in questo Paese, come in altri, c’è chi persiste nel trattare il problema come un affare che non lo riguarda. Cinque anni sono passati dalla visita compiuta con Bartolomeo e Ieronymos e dopo tutto questo tempo si deve constatare che sulla questione migratoria poco è cambiato. «E quante condizioni indegne dell’uomo! Quanti hotspot dove migranti e rifugiati vivono in condizioni che sono al limite, senza intravedere soluzioni all’orizzonte! Eppure il rispetto delle persone e dei diritti umani, specialmente nel continente che non manca di promuoverli nel mondo, dovrebbe essere sempre salvaguardato, e la dignità di ciascuno dovrebbe essere anteposta a tutto! È triste sentir proporre, come soluzioni, l’impiego di fondi comuni per costruire muri».
Citando Elie Wiesel ha poi affermato: «Quando le vite umane sono in pericolo, quando la dignità umana è in pericolo, i confini nazionali diventano irrilevanti». E con la lucidità che molti non vogliono avere ha affermato: «Perché solo se riconciliato con i più deboli l’avvenire sarà prospero. Perché quando i poveri vengono respinti si respinge la pace. Chiusure e nazionalismi – la storia lo insegna – portano a conseguenze disastrose… In diverse società si stanno opponendo in modo ideologico sicurezza e solidarietà, locale e universale, tradizione e apertura. È facile trascinare l’opinione pubblica istillando la paura dell’altro; perché invece, con lo stesso piglio, non si parla dello sfruttamento dei poveri, delle guerre dimenticate e spesso lautamente finanziate, degli accordi economici fatti sulla pelle della gente, delle manovre occulte per trafficare armi e farne proliferare il commercio? Vanno affrontate le cause remote, non le povere persone che ne pagano le conseguenze, venendo pure usate per propaganda politica! Per rimuovere le cause profonde, non si possono solo tamponare le emergenze. Occorrono azioni concertate. Occorre approcciare i cambiamenti epocali con grandezza di visione. Perché non ci sono risposte facili a problemi complessi».
«Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti – ha detto papa Francesco – sta diventando un freddo cimitero senza lapidi». Il Mediterraneo la «culla di tante civiltà, sembra ora uno specchio di morte». «Non lasciamo che il mare nostrum si tramuti in un desolante mare mortuum, che questo luogo di incontro diventi teatro di scontro! Non permettiamo che questo “mare dei ricordi” si trasformi nel “mare della dimenticanza”. Vi prego, fermiamo questo naufragio di civiltà!».
Papa Francesco ha ricordato come proprio sulle rive di questo mare Dio si è fatto uomo, si è inculturata la fede non una ideologia religiosa. Con molta chiarezza ha perciò spiegato come invece «si offende Dio, disprezzando l’uomo creato a sua immagine, lasciandolo in balia delle onde, nello sciabordio dell’indifferenza, talvolta giustificata persino in nome di presunti valori cristiani». E da Papa, come Papa, ha insegnato quali sono le vere radici cristiane: «La fede chiede compassione e misericordia. Esorta all’ospitalità, a quella filoxenia che ha permeato la cultura classica, trovando poi in Gesù la propria manifestazione definitiva, specialmente nella parabola del Buon Samaritano (cfr Lc 10,29-37) e nelle parole del capitolo 25 del Vangelo di Matteo. Gesù afferma solennemente di essere lì, nel forestiero, nel rifugiato, in chi è nudo e affamato. Il programma cristiano è trovarsi dove sta Gesù. Perché il programma cristiano, ha scritto papa Benedetto, “è un cuore che vede”». Vedere la realtà prima delle idee e delle ideologie. Quella che nel campo profughi di Lesbo tutti hanno potuto vedere.
Stefania Falasca
Avvenire
5 dicembre