Dateci retta!


il Manifesto


Parla la sociologa femminista Lella Palladino «Mancano diritti sociali, di accesso, ci sono troppi vincoli ancora da decostruire. Con la pandemia ormai siamo a una stretta e ci devono dare retta»


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
bastafemminicidi

Lella Palladino, sociologa femminista, attivista dei centri antiviolenza, fa parte del Forum Disuguaglianze Diversità e da anni, in Campania, con la Cooperativa E.V.A. di Santa Maria Capua Vetere, attiva servizi di prevenzione e contrasto della violenza maschile e interventi volti all’inclusione sociale e lavorativa di donne in condizioni di particolari difficoltà oltre a impegnarsi con i centri della rete Di.Re.

Alla vigilia dell’8 marzo, se la libertà femminile non può esserci tolta, vediamo nel panorama internazionale alcuni diritti in pericolo. È il caso della Polonia che vieta l’aborto, tre deputate hanno sottoscritto un manifesto, sostenuto qui da Laura Boldrini, Lia Quartapelle e altre che domani faranno un flash-mob a Roma davanti all’ambasciata polacca. «Questi fenomeni – dice Palladino, che è anche autrice di Non è un destino (Donzelli) – si inseriscono in una deriva generale a destra. Non è indifferente avere avuto Orban, Trump o Salvini al governo. Lo scivolamento ha avuto come ricaduta grave l’attacco pesantissimo alle donne».

 

Che riflessioni fa sull’8 marzo a un anno dalla pandemia?

Lo vivo con una doppia preoccupazione, per una situazione cronica e storica che attiene alle donne nel nostro Paese, e nuova perché è evidente che un anno di restrizioni, crisi sanitaria e conseguenze socio-economiche hanno avuto una ricaduta prevalente sulle donne. Più carichi, più espulse dal mercato del lavoro e una precarizzazione moltiplicata perché, dai servizi al mondo della cultura, sono le donne le categorie più impegnate; in questo scenario la violenza maschile ha avuto un’impennata considerevole dalla coabitazione forzata e dalla condizione del lavoro in casa e tempi di vita ribaltati. Molte sono state le proposte, per esempio ciò che si è prodotto in vista della programmazione delle risorse europee in arrivo, penso al documento dell’Assemblea della Magnolia e anche quello delle Women New Deal o tutto ciò che si è coagulato intorno alle Donne per la salvezza o alle Donne per la salute. La richiesta è forte e non va sprecata: la cura è quella del mondo, delle relazioni, dei più fragili e d’altra parte un cambio di paradigma che non può più essere rimandato e che attiene ai diritti sociali, di accesso, di troppi vincoli ancora da decostruire ma anche di valutazioni, monitoraggi e indicatori.

 

Sul senso della cura, il femminismo e la politica delle donne prendono parola da decenni. Sembra però siamo arrivate alle strette, sul lavoro, sui tempi di vita. Cosa non funziona più e cosa si può trasformare?
Vivendo in un territorio come la Campania e a stretto contatto con donne che fanno un percorso di fuoriuscita dalla violenza o donne che spesso sono rese vulnerabili da deprivazioni avute fin dall’infanzia, oppure che hanno scarsa scolarizzazione e ascoltando esperienze che non prevedono l’assertività, credo si debba tornare a parlare di inserimento lavorativo e condivisione di buone prassi. Su questo abbiamo riflettuto a lungo su ciò che Amartya Sen e Martha Nussbaum hanno proposto sul cosiddetto welfare della capacitazione, ovvero come si fa a restituire capacità a chi non se ne riconosce. Parliamo di contesti complessi e svantaggiati con chi non riesce a inserirsi nel mercato. La disoccupazione femminile, restituita dall’Istat di Linda Laura Sabbadini, ci conferma che ormai è questione nazionale; tuttavia al sud l’indipendenza economica delle donne è sempre stato un problema. Non possiamo pensare a politiche sociali non integrate sui tre piani di eliminazione di vincoli di accesso, permanenza e crescita professionale. L’esempio di una sperimentazione che abbiamo portato avanti, insistendo anche sulle aspirazioni, un punto spesso taciuto, è quella con il laboratorio di Casa Lorena a Casal di Principe, in un bene confiscato alla criminalità organizzata, ripensato per scopi sociali.

 

Uno dei temi di domani è la recrudescenza della violenza maschile. Come rete siete state tenaci a mantenere il punto. Si dovrebbero aprire più tavoli o cosa manca?
Dopo aver partecipato per anni ai piani antiviolenza del Dipartimento pari opportunità, posso dire che se alla partecipazione ai tavoli non segue un cambiamento effettivo e i fondi non arrivano direttamente ai centri, evitando che gli enti locali li disperdano, allora abbiamo un problema. E dobbiamo risolverlo, non solo l’8 marzo.

 

Il Manifesto
8 marzo 2021

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+