Social Watch: L’Italia in caduta libera travolge l’UE nella lotta alla povertà
Giorgio Beretta - unimondo.org
Pesante il giudizio sull’Italia che emerge dal rapporto 2010 del Social Watch: un paese “in caduta libera” che fa da freno anche all’Europa nell’impegno ad aiutare le nazioni meno sviluppate a uscire dalla spirale della povertà.
Un paese che scivola in basso, incapace di affrontare la crisi economica e di guardare al futuro le cui politiche stanno avendo un “impatto nefasto” sulla tabella di marcia dell’Unione Europea per la lotta contro la povertà nei paesi del Sud del mondo. E’ il pesante giudizio sull’Italia che emerge dal rapporto 2010 del Social Watch dal titolo “Dopo la caduta. É tempo per un nuovo patto sociale” (testo integrale in .pdf) presentato ieri a Roma dalla coalizione italiana che fa parte della rete della società civile attiva in oltre 60 paesi.
Il rapporto descrive, attraverso indici e statistiche ufficiali, un’Italia che anche il recente rapporto Caritas-Zancan ha definito un paese in “in caduta libera” ma che, inoltre, fa da freno anche all’Europa nell’impegno ad aiutare le nazioni meno sviluppate a uscire dalla spirale della povertà. “Se questo rapporto, partendo dalla situazione mondiale, guarda al ‘dopo la caduta’ con la prospettiva di una ripresa, in Italia la situazione è ancora proiettata verso il basso: si continua a cadere” – spiega Jason Nardi, portavoce di Social Watch Italia.
La condizione della donna è per il Social Watch uno degli indicatori principali dello stato di salute di una società. Al riguardo il rapporto evidenzia che “nel 2009, per la prima volta dal 1996, il tasso di occupazione femminile ha fatto registrare segno negativo, scendendo al 46,4% e mostrando un ulteriore peggioramento nel 2010”. Una decisa inversione di tendenza dopo che l’occupazione delle donne era salita dal 1996 al 2009 di quasi 10 punti percentuali. “La partecipazione delle donne al mercato del lavoro è resa difficile dalla cronica carenza di strumenti per conciliare gli impegni familiari e la professione” – denuncia Social Watch. Il tasso di inattività femminile è particolarmente elevato e negli ultimi anni ha toccato il 50%, circa 13 punti oltre la media UE. “Questa situazione non è solo conseguenza della crisi finanziaria, ma anche di politiche che colpiscono l’universalità dei diritti e la coesione sociale, promosse in una logica di corto respiro” – sottolinea Nardi.
Un altro indicatore importante del Social Watch è quello della condizione giovanile. “In Italia la crisi ha portato nel 2009 a una forte diminuzione dei posti di lavoro per i più giovani. Il numero di giovani occupati è sceso di circa 300 mila unità, cifra che rappresenta il 79% del calo complessivo dell’occupazione” . E sono in costante aumento anche i cosiddetti Neet (Not in education, employment or training), i giovani che non lavorano e non frequentano nessun corso di studi o formazione. “In Italia, il 21,2% dei giovani tra 15 e 29 anni può essere classificato come Neet. Si tratta del peggior risultato in Europa” – evidenzia il rapporto. Attualmente, sono oltre due milioni i giovani che in Italia non studiano e non lavorano, e la maggioranza di questi (65,8%) non è neppure alla ricerca di un’occupazione.
Anche a livello internazionale la crisi economica e finanziaria ha visto un rallentamento della lotta contro la povertà, costringendo milioni di persone a vivere in condizioni inaccettabili. Un tale scenario richiederebbe – secondo la coalizione del Social Watch – leadership e senso di responsabilità da parte dei paesi industrializzati che dispongono delle risorse per aiutare le nazioni meno sviluppate a uscire dalla spirale della povertà. “In questo contesto gli aiuti promessi e mai stanziati dall’Italia a questi paesi sono un segnale molto grave” – denuncia la coalizione.
La percentuale del PIL italiano destinata all’ Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) è scesa dallo 0,22% del 2008 allo 0,16% del 2009, in controtendenza con i maggiori paesi europei che nonostante i tagli dovuti alla crisi hanno mantenuto o aumentato gli stanziamenti per la cooperazione internazionale. L’Italia è quindi ben lontana dall’obiettivo intermedio che si era data insieme ai Paesi dell’UE di raggiungere lo 0,56% del PIL in APS entro la fine del 2010. Così come è lontana dall’obiettivo finale di arrivare allo 0,7% del PIL entro il 2015. “Ma il problema non finisce qui – sottolinea la rete italiana del Social Watch. Le lacune della cooperazione italiana stanno avendo un impatto nefasto anche sulla tabella di marcia dell’Unione Europea che non ha raggiunto il traguardo collettivo dello 0,56% in buona parte a causa del nostro Paese. L’Italia è infatti responsabile del 40% dei fondi mancanti, ovvero di circa 4,4 miliardi di euro. Tutto questo è accaduto, paradossalmente, nell’Anno Europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale“.
“Eppure – sottolinea il portavoce della rete italiana Social Watch – nella società civile italiana ci sono le capacità per invertire questa tendenza e rialzarsi dalla brutta caduta. Occorre innanzitutto rimettere al centro i diritti e riprendere ad andare nella direzione di uno sviluppo sociale equo”. Al riguardo la coalizione avanza diverse proposte. “Per far fronte ad un debito pubblico fuori controllo (oltre il 118%, il secondo in Europa dopo la Grecia) occorre intensificare la battaglia all’elusione e all’evasione fiscale”.
Ma non solo. Secondo il Social Watch, si può uscire dalla crisi introducendo maggiore equità fiscale attraverso tre misure. Innanzitutto un’imposta patrimoniale una tantum con un’aliquota del 5per mille tutti i patrimoni al di sopra dei 5 milioni di euro. Inoltre elevando l’aliquota della tassazione delle rendite finanziarie dal 12,5% al livello medio europeo del 20%. Infine, attraverso una tassa internazionale sulle transazioni finanziarie per ridurre la volatilità dei mercati finanziari e far pagare la crisi in primo luogo a chi ha causato la bolla speculativa esplosa nel 2008.
“Da una tassa anche molto piccola dello 0,05 per cento sulla compravendita di titoli – cioè con uno strumento straordinario per fermare la speculazione senza danneggiare gli investimenti, l’economia reale o i piccoli risparmiatori – applicata anche solo nella zona euro, il gettito sarebbe di 200 miliardi di euro l’anno” – specifica Andrea Baranes dellaCampagna ZeroZeroCinque che ieri ha manifestato davanti al Parlamento a Roma per chiedere ai leader politici italiani di sostenere la proposta della campagna. “Una piccola tassa, ma molto importante sia per rimettere in sesto i conti pubblici devastati dalla crisi sia per realizzare finalmente gli obiettivi internazionali della lotta alla povertà e per contrastare i cambiamenti climatici”.
“Se i poveri fossero una banca, sarebbero già stati salvati” – ha concluso Jason Nardi, portavoce di Social Watch Italia. “Se pensiamo che la cifra necessaria a raggiungere gliObiettivi del Millennio è stimata in circa 100 miliardi di dollari l’anno, con le migliaia di miliardi di dollari pubblici sborsati negli ultimi due anni per salvare le banche dal fallimento li avremmo già realizzati. A questo ritmo, invece, sarà molto difficile raggiungere gli Obiettivi del Millennio entro il 2015”.
Fonte: www.unimondo.org
18 febbraio 2011