Un telefono che salva vite nel Sahara
Avvenire
Alarm Phone Sahara, numeri di telefono e informatori per aiutare chi si sposta nel deserto, ascoltando chi lancia allarmi e segnalando chi è in difficoltà
Una rete di informatori del deserto che sorveglia oasi e città nel Sahara sulle antiche piste verso la Libia. Che vigila su quella che i disperati di passaggio chiamano «la via dell’inferno». E numeri di telefono per salvare chi resta bloccato nel deserto o viene abbandonato dai trafficanti.
Perché quanti siano i migranti morti nella gigantesca regione desertica tra Mali, Niger, Ciad, Libia e Sudan nessuno lo sa. Ma i malati o chi cade dai pick up affollati in corsa – su questo ci sono molte testimonianze e una diffusa letteratura – viene abbandonato dai trafficanti sulla strada infernale e viene cancellato dalle sabbie perenni.
Per salvare le vite in pericolo tra le dune, tre anni fa è nata Alarm phone Sahara. I numeri sono due (+22780296826 e +22785752676) e campeggiano su un sito: i volantini vengono distribuiti nei nodi di passaggio. Ha sede ad Agadez, punto di transito di molti migranti e di raccolta di quelli bloccati e respinti dopo che dal 2015, su pressione europea, il governo di Niamey ha messo fuori legge il trasporto di persone, attività su cui si reggeva da sempre l’economia di uno Stato poverissimo, dando notevole impulso al traffico illegale di esseri umani sulle rotte dell’Africa occidentale.
L’esternalizzazione delle frontiere europee fino al Niger ha bloccato migliaia di persone in una regione priva di un sistema di accoglienza.
Negli ultimi anni centinaia di migliaia di uomini, donne e minori hanno raggiunto Agadez in fuga da conflitti e violenze, in attesa di affrontare la traversata del Sahara verso la Libia. Dal dicembre 2017, rifugiati e richiedenti asilo, per la maggior parte sudanesi, hanno cominciato a ripercorrere quella stessa via in senso contrario, in fuga dai campi di tortura libici. Hanno trovato rifugio nei campi profughi, ma dopo il blocco sono aumentati incidenti e sparizioni nel deserto.
«Ci finanziamo con donazioni di organizzazioni umanitarie europee – spiega Moctar Dany Yaye, portavoce di Alarm Phone Sahara –. Noi siamo sostenitori dello sviluppo sostenibile che faciliti la libera scelta della gente di restare dove vivono o di lasciare in base ai loro bisogni. La nostra attività principale è sensibilizzare perciò sui pericoli della rotta, informare sui documenti richiesti e sulle modalità di salvataggio sulle condizioni di viaggio e i pericoli nel deserto nel Sahel e nel Sahara. La sensibilizzazione avviene via social media con volantini o incontri. Diamo avvisi e promuoviamo i diritti dei migranti, abbiamo fatto report, laboratori e meeting, documentiamo e rendiamo visibile quello che sta accadendo su queste rotte migratorie, inclusi i crimini, le violazioni dei diritti umani e gli abusi. Il nostro principale obiettivo resta salvare migranti in pericolo nel deserto e denunciare le politiche regionali, sub-regionali, nazionali e internazionali che mettono a repentaglio le loro vite. restringendo le libertà di movimento. Le informazioni sono sul sito Alarmphonesahara.info».
Alarm Phone Sahara è la “sorella” di Alarm Phone Med, che avverte le Capitanerie per le emergenze nel Mediterraneo. La linea del deserto si regge sulla rete dei lanceurs, i volontari del deserto.
«Anche noi forniamo numeri per chiamare a chi si trova in pericolo – prosegue Moctar – oppure se vedono altre persone in emergenza. Ci sono zone non coperte dalla rete e perciò abbiamo messo a punto una rete di informatori, di “lanciatori d’allarme”. Sono volontari reclutati in villaggi o città dalle quali sappiamo che passano i migranti.
I lanceurs sanno come lanciare l’allarme e dove andare a lanciarlo, indicando le coordinate quando vedono migranti in pericolo. Per ora le risorse ci consentono di effettuare attività di salvataggio solo nella regione di Agadez. Abbiamo due numeri verdi. In caso di emergenza, in base ai mezzi a disposizione, allertiamo le persone più vicine all’area o le autorità».
Dalla via dell’inferno il filo che lega le storie all’Europa e all’Italia, che ha schierato un contingente di 300 persone, si accorcia. Ci sono passati camerunensi, gambiani, ivoriani e burkinabè che vivono e lavorano nel Belpaese. «L’Algeria respinge le persone dirette sulla costa di notte in una parte del deserto del Niger a 15 chilometri dal confine, a Samaka, e li fa camminare.
I nostri informatori sorvegliano in bici o in motocicletta e, quando vedono un un gruppo di migranti, li raggiungono per evitare che si separino. Una donna aveva percorso molti chilometri nella direzione sbagliata. I soldati nigerini l’hanno trovata su nostra segnalazione e riportata a Sanaka dove Medici senza frontiere le ha fornito il primo soccorso. Lei voleva tornare in Algeria a piedi. Era impazzita. Abbiamo trovato altri migranti dell’Africa occidentale fermi da un giorno e mezzo sul ciglio di una pista per un incidente. I nostri lanceurs li hanno soccorsi con acqua e hanno aiutato l’autista a raggiungere il villaggio più vicino per riparare il pick up».
Il numero dei morti vittime dei trafficanti nella via dell’inferno non è facilmente stimabile. «Spesso – puntualizza il portavoce – non è nemmeno possibile trovare i cadaveri perché la sabbia li copre. Sappiamo che recentemente l’Oim ha stimato una cifra di almeno 30 mila morti. Ma non possiamo confermare. Prima della criminalizzazione nel 2015 del traffico con una legge del Parlamento con pressioni dei governi e dei politici europei, si viaggiava regolarmente con i convogli ed era meno rischioso. La gente cerca di evitare i check point e le forze di sicurezza viaggiando di notte. Dentro le auto non si vedono, non si sa quanti sono né quanti non sono riusciti ad arrivare a destinazione».
Paolo Lambruschi
Avvenire
20 dicembre 2019