Abbracciati in fondo al mare


il Manifesto


Lampedusa. Al via il recupero del barcone naufragato il 7 ottobre scorso. Tra i 12 corpi individuati quelli di una mamma e il suo bambino


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I cadaveri in condizioni pietose giacciono in fondo al mare, in un’atmosfera spettrale. Sono a sessanta metri di profondità. Sono lì da dieci giorni. C’è il corpo di una giovane mamma e del suo bambino, un neonato di pochi mesi. E ci sono i resti di altri poveri migranti: dodici salme imprigionate nel barcone o adagiate tra rocce e alghe. Immagini crude. Davvero terribili, dicono gli uomini della guardia costiera che hanno comandato in remoto il robot sottomarino che è riuscito a intercettare il barchino affondato all’alba del 7 ottobre, a sole sei miglia da Lampedusa. Serviranno alcuni giorni prima di potere recuperare tutti i corpi, dipenderà anche dalle condizioni meteo-marine. Un’operazione complessa per la squadra di sommozzatori che è già al lavoro. Al nucleo della guardia costiera di Messina si sono uniti quelli di Cagliari e Napoli.

«Ci abbiamo creduto fino alla fine. Il personale della guardia costiera di Lampedusa e il nucleo sommozzatori non ha mollato un solo giorno, nonostante il carico di lavoro ordinario che continua a gravare su Lampedusa. I nostri militari hanno messo in campo tutta la loro professionalità e anche il loro cuore», dice il procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella.

Erano più di 50 i migranti a bordo del barchino che si è capovolto. Tredici i cadaveri recuperati – tutti di donne – 22 i naufraghi salvati che raccontarono il dramma dei loro compagni scomparsi tra le onde. «Erano tutti senza giubbotti salvagente, che in casi come questo sono l’unica speranza per salvarsi la vita – affermò il pm Vella – Se li avessero avuti sarebbero tutti salvi». Il barchino si ribaltò poco prima dell’arrivo dei soccorsi: alla vista delle motovedette alcuni naufraghi cominciarono ad agitarsi e l’imbarcazione, che era rimasta senza benzina e stava imbarcando acqua, calò a picco. «Senza sosta ci appelliamo a istituzioni nazionali e sovranazionali perché si ponga fine all’ecatombe di migranti diretti in Europa; si ritorni alla civiltà dei diritti umani e della solidarietà», sottolinea il Centro Astalli. «È inaccettabile che indifferenza e cinismo ci lascino inerti davanti all’orrore. Serve un nuovo umanesimo della solidarietà che ispiri governanti e società civile a perseguire il bene di tutti e prendersi cura del mondo», afferma padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli. «Salvare vite umane è imperativo morale, politico e civile», rileva ancora il centro per i rifugiati dei gesuiti chiedendo «subito canali umanitari, vie legali d’ingresso che pongano fine a viaggi mortali e al traffico di migranti, e la loro evacuazione immediata dalla Libia».

La butta in polemica invece l’ex ministro Salvini. «Nelle ultime 24 ore sono arrivati 350 immigrati e possiamo dire che se il governo di sinistra riapre i porti a questo ritmo torniamo ai disastri di due-tre anni fa. Quindi non vorrei che fosse vanificato in un mese il lavoro di un anno», attacca il leader della Lega secondo cui «i numeri questo stanno dicendo e sono molto preoccupato onestamente». Ma il ministro degli Interni, Luciana Lamorgese, lo smentisce. «Non credo si possa parlare di una escalation degli sbarchi, c’è stato un incremento a settembre e dai primi dati anche ad ottobre: è un incremento riconducibile agli sbarchi autonomi, che non è un fenomeno nuovo», chiarisce il ministro al question time alla Camera ad un’interrogazione proprio della Lega. Nel 2018, ha spiegato il ministro, «gli sbarchi autonomi sono stati circa 6mila, nel 2019 sono circa 6.800 con una tendenza all’incremento mostrata fin da marzo». E in ogni caso, ha aggiunto, «le politiche migratorie devono andare oltre la mera contabilità statistica». Si appella a istituzioni e politica il sindaco di Lampedusa Totò Martello. «Cosa bisogna aspettare ancora per una inversione nelle politiche sui migranti? Qualcuno pensa che nascondendo la testa sotto la sabbia, la situazione cambierà da sola?», incalza il sindaco di Lampedusa, dove i 172 migranti sbarcati ieri si aggiungono ai 200 arrivati lunedì.

«Ci sono stati altri morti appena pochi giorni fa – accusa Martello – ma a Lampedusa non si è visto nessuno, eravamo solo noi lampedusani a piangere quella gente. Adesso altri sbarchi, che in realtà non si sono mai fermati, eppure continuiamo a non avere segnali di sostegno dalle istituzioni». Che teme una escalation. «Sono preoccupato per la situazione ai confini della Siria, per la guerra della Turchia contro il popolo curdo. Quello che qualcuno non capisce, o fa finta di non capir, è che i flussi migratori sono direttamente collegati a certi eventi, bisogna farsi trovare preparati, non si può inseguire l’emergenza – avvisa – E soprattutto continuo a ripetere che i territori di frontiera come Lampedusa non possono essere abbandonati».

17 ottobre 2019

Il Manifesto

 

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