Le ultime bugie dei Sette Mari


Alberto Negri


Dalla Libia al Golfo. La prima bugia italo-libica è che Tripoli è un «porto sicuro», la seconda è americana: attacchi nel Golfo come casus belli contro l’Iran. A forza di ripeterle allo sfinimento, le bugie diventeranno verità o post-verità


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iran

Siamo alle bugie dei mitologici Sette Mari, resi immortali dalla raccolta di poesie di Rudyard Kipling.

La prima bugia è che Tripoli è un «porto sicuro», così sicuro che se ne vogliono scappare tutti quelli che ci capitano dentro. La seconda bugia la stanno costruendo gli americani per strangolare l’Iran con un casus belli o una provocazione.

Salvini ha spinto il governo Sarraj a mentire ma sono bugie con le gambe corte. Quelle degli americani sono da specialisti: con la “bufala” delle armi distruzione di massa di Saddam nel 2003 giustificarono l’invasione dell’Iraq inaugurando un’era di destabilizzazione che dura ancora oggi. In entrambi i casi sono comunque bugie mortali, dal Golfo della Sirte al Golfo Persico.

E per ogni bugia c’è sempre una prima volta in cui far cascare l’opinione pubblica fino a quando, ripetendola allo sfinimento, non diventi una verità o una post-verità. Così, per la prima volta, la guardia costiera di Tripoli ha assegnato a una nave umanitaria – la Sea Watch, che aveva salvato 52 migranti – un porto di sbarco «sicuro» in Libia: Tripoli.

Si tratta di una provocazione in quanto nessuna Ong porterebbe mai i migranti indietro in un luogo dove vengono trattati come esseri non umani o non esistenti. Anche soltanto per un semplice principio di buon senso e di diritto internazionale. La Libia non ha mai firmato al convenzione internazionale di Ginevra su rifugiati del 1951: in poche parole non riconosce alcun diritto di asilo o di protezione umanitaria.

Questo significa che chiunque arrivi in Libia è considerato un clandestino. Quindi i libici si sentono autorizzati a fare ciò che vogliono dei migranti. Ne fanno commercio, li riducono in stato di schiavitù e sottopongono queste persone a ogni tipo di angheria.

La Libia non è un porto «sicuro» non solo perché è in corso una guerra civile tra Sarraj e il generale Haftar ma anche perché non rispetta alcuna legge. Una realtà brutale ma che finora nessuno ha avuto il coraggio di cambiare. Possiamo chiudere i nostri porti e fare tutti i proclami che si vogliono ma ci sono realtà ineludibili: però se si insiste ancora un po’, se si accreditano le inaffidabili autorità libiche, finirà che anche qui crederemo che Tripoli sia un porto «sicuro». In fondo in questi anni abbiamo fatto questo, ovvero accreditare i libici fornendo soldi, addestramento e motovedette per fare il lavoro sporco che già toccava a Gheddafi: tenersi in casa i migranti africani.

Dalla Tortuga libica passiamo alle bugie del Golfo. Gli Stati Uniti inviando truppe e portaerei nello Stretto di Hormuz, dove passa il 40% del traffico mondiale di petrolio ci stanno facendo credere che l’Iran minaccia non solo i traffici del greggio ma anche la sicurezza mondiale, così vogliono anche le monarchie del Golfo e Israele. Due petroliere, dirette in Giappone, ieri sono state “attaccate” nel golfo di Oman, secondo quanto dichiarato dalla Marina americana. Le cause dell’incidente non sono ancora chiare, sarebbero state colpite da un siluro.

Così come non sono state chiarite le cause del sabotaggio di altre quattro petroliere che in maggio erano state coinvolte in un sabotaggio nello Stretto di Hormuz. Secondo i risultati di un’inchiesta condotta da Emirati, Arabia Saudita e Norvegia, presentati al Consiglio di sicurezza dell’Onu ai primi di giugno, ci sarebbe la responsabilità di un «attore di Stato» dietro questo sabotaggio, ma nessuna prova che si tratti dell’Iran.

Usciti dall’accordo sul nucleare del 2015, gli Usa hanno imposto nuove sanzioni all’Iran e bloccato l’export di petrolio: in poche parole stanno soffocando la repubblica islamica e impediscono agli altri di fare affari con Teheran. Russia e Cina si oppongono, gli europei timidamente vorrebbero aggirare le sanzioni e ieri a Teheran era in visita anche il premier nipponico Shinzo Abe, storico cliente degli iraniani.

L’obiettivo degli Usa è costruire l’immagine di un Iran «minaccia per la pace» e dei traffici internazionali ma anche di fare paura agli europei aumentando una tensione nello Stretto che può innescare un’impennata delle quotazioni petrolifere. Nelle bugie dei Sette Mari c’è sempre qualcuno che ci guadagna e non importa se ci sarà un’altra guerra del Golfo: ne avete già viste tante.

Alberto Negri

Il manifesto

14 giugno 2019

 

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