Rinvio a giudizio per Mimmo, ma #Riacenonsiarresta


amelia rossi


Il processo per l’inchiesta sulla gestione dei migranti. Il sindaco, ora sospeso, e altre 26 persone accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e irregolarità di gestione nel modello del paese. Il 3 aprile la Cassazione ha smontato parte delle due accuse rimaste in piedi


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Mimmo Lucano dovrà affrontare il processo. Dopo più di 7 ore di camera di consiglio e quattro giorni di udienza preliminare, lo ha deciso il gup di Locri, Amelia Monteleone, che ha rinviato a giudizio il sindaco sospeso di Riace e altri 26 indagati, fra cui la sua compagna Lemlem Tesfahun. La posizione di altri tre indagati dovrà essere valutata perché la loro posizione è stata stralciata dal troncone principale del procedimento per problemi tecnici.

“Sono senza parole – ha commentato il sindaco sospeso di Riace poco dopo la sentenza – Sono stato rinviato a giudizio anche per i capi di imputazione che la Cassazione ha demolito. Evidentemente quello che vale a Roma non vale a Locri. Ma vado avanti con coraggio, la verità si farà luce da sola”.

Per Lucano e gli altri 26 indagati la prima udienza è fissata per il prossimo 11 giugno, di fronte ai giudici del Tribunale che dovranno stabilire se davvero il modello Riace nascondesse un vero e proprio sistema criminale. Così sostiene la procura che fino ad oggi non ha mai incassato un giudizio a conferma di tale ipotesi, ma come tale l’ha riproposta alla chiusura delle indagini.

Non l’aveva accolta il gip Domenico Di Croce, il primo a vagliare (e cassare) buona parte dell’impianto accusatorio. A Riace, si leggeva nel provvedimento, nonostante una gestione assai disordinata della rendicontazione dei fondi, i servizi sono stati sempre erogati, nessuno ha messo in tasca in centesimo e non ci sono stati illeciti. Con parole pesantissime, il giudice aveva dunque demolito le principali accuse rivolte a Lucano – dall’associazione a delinquere alla malversazione – bollate come “congetturali”, “laconiche”, “inidonee a sostenere l’accusa”.

In alcuni casi, sottolineava, “gli inquirenti sarebbero «incorsi in errori tanto grossolani da pregiudicare irrimediabilmente la validità dell’assunto accusatorio”.

Dei 14 capi di imputazione contestati, il giudice ne aveva salvati solo due, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e irregolarità nell’affidamento degli appalti per la differenziata, ordinando però gli arresti domiciliari per Lucano.

Due settimane dopo, il Riesame li ha trasformati in un esilio obbligato da Riace. Da allora, nel borgo dell’accoglienza, il suo sindaco, per questo sospeso, non può andare. Una decisione contro cui Lucano ha fatto ricorso fino in Cassazione, che di recente non solo ha ordinato al Riesame di Reggio di riesaminare il caso, ma ha anche smontato parte delle due accuse rimaste in piedi.

A Riace – ha detto chiaramente la Suprema Corte – non ci sono state né ruberie, né truffe, né matrimoni di comodo. Il contestato appalto per la differenziata, assegnato dal Comune di Riace a due cooperative del paese che impiegavano italiani e migranti, è stato gestito in modo assolutamente regolare. È la legge – ha sottolineato– a prevedere la possibilità di affidamento diretto a cooperative sociali “finalizzate all’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate” a condizione che gli importi del servizio siano “inferiori alla soglia comunitaria”.

In più, si leggeva nelle motivazioni, appare pretestuoso addebitare la decisione al solo Lucano, perché frutto di una decisione collegiale di Giunta e Consiglio comunale, deliberata dopo aver chiesto pareri tecnici agli uffici competenti.

Non è vero, né provato – hanno messo nero su bianco gli ermellini – che a Riace si celebrassero matrimoni di comodo per permettere ai migranti di ottenere i documenti necessari per rimanere in Italia. Nelle carte – dicono i giudici – vengono evocati più volte ma mai supportati da elementi giuridicamente rilevanti, non a caso – fa notare la Cassazione – al riguardo non esiste neanche una contestazione formale. Da quanto emerge dagli atti, Lucano avrebbe effettivamente aiutato la compagna nel fallito tentativo di farsi raggiungere dal fratello in Italia, ma nel valutare la questione è necessario anche pesare la relazione affettiva fra i due.

Considerazioni, osservazioni e perizie che entreranno nel processo e di cui i giudici dovranno tenere conto. Nel frattempo, il Viminale, già in sede di udienza preliminare, ha fatto sapere che contro Lucano e gli uomini e le donne che hanno reso concreto il modello Riace si costituirà parte civile.

Ma per Lucano e chi con lui ha costruito il borgo dell’accoglienza, la battaglia non sarà solo giudiziaria.

A breve anche Riace tornerà alle urne per le amministrative e se a destra ci si sta già organizzando, a sinistra è ancora caos. La legge Severino non scompagina i piani, perché il semplice rinvio a giudizio non è motivo di incandidabilità. Le liste però sono ancora tutte da definire. Una certezza però sembra esserci, o almeno tale era fino a qualche giorno fa. Mimmo Lucano ci sarà, ma solo come consigliere comunale. Da sindaco, ha già alle spalle tre mandati e per legge non può essere candidato, ma – ha confermato di recente a Repubblica – “voglio continuare a sostenere il progetto”. In tanti lo avrebbero voluto in lista alle Europee e tanti a sinistra continuano a corteggiarlo, ma lui ha sempre detto di no. Almeno fino ad oggi.

11 aprile 2019

Repubblica.it

 

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