Per salvare le persone non servono classificazioni


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L’esperto di diritto marittimo del foro di Genova Paolo Turci: «Salvataggio vite in mare è obbligo per ogni tipo di imbarcazione”


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«La Sea Watch è classificata come yacht». Aveva esordito così il ministro dell’Interno Salvini qualche giorno fa, alludendo a presunte irregolarità nell’immatricolazione della nave dell’ong tedesca. Immediatamente, gli aveva fatto eco dalla propria pagina Facebook il titolare ai Trasporti Toninelli: «Stiamo parlando di una imbarcazione registrata come “pleasure yacht”, che non è in regola per compiere azioni di recupero di migranti in mare. E mi pare ovvio, visto che è sostanzialmente uno yacht. In Italia questo non è permesso».

Parlare di yacht, nell’accezione comune italiana del termine, è tuttavia improprio: «La Sea Watch 3 è classificata dalla autorità olandesi come “pleasure craft”, dunque in analogia alla nostra classificazione di ‘nave da diporto’”, ha spiegato l’avvocato Paolo Turci, esperto marittimista del foro di Genova. «Battendo bandiera olandese, registrazione e destinazione d’uso andrebbero valutate alla luce della normativa di quel Paese. Ciò premesso, le varie normative nazionali accolgono in larga misura criteri tra loro simili, essendo la materia regolata da apposite convenzioni internazionali» spiega l’avvocato, che chiarisce anche la questione della presunta impossibilità di compiere soccorsi. «Innanzitutto serve precisare che il salvataggio della vita in mare è un obbligo per ogni tipo di imbarcazione. Tutte possono diventare navi da soccorso. Detto questo, possono esistere imbarcazioni più o meno adibite a “soccorso” – si pensi ai rimorchiatori d’altura -, ma tale indicazione può essere riferita solo alla loro specializzazione nel prestare assistenza ad altre navi o comunque a beni materiali. Non credo sia definibile invece la categoria delle navi da soccorso per le persone».

Turci chiarisce anche un altro aspetto su cui punta la propaganda anti-ong, quello dei porti sicuri: «La normativa internazionale – spiega – prevede il dovere di sbarcare i migranti in quello più vicino, con l’obbligo dello Stato cui quel porto appartiene di accoglierli. Ma non può essere definito ‘porto sicuro’ quello in cui i naufraghi rischiano di essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti. In passato varie pronunce giurisprudenziali hanno escluso che potessero esserlo i porti libici. Quanto ai salvataggi nel canale di Sicilia, da un punto di vista geografico gli scali sicuri più vicini potrebbero essere quello di Lampedusa, di Malta, o quelli tunisini. Ma va chiarito che la nave non compie nessun illecito se disattende la legge a causa del ‘no’ delle autorità del porto in questione».

Eventualità che si è verificata nel caso Sea Watch 3: l’Olanda (Paese di bandiera della nave) aveva presentato regolare richiesta di rifugio dal maltempo alla Tunisia senza mai ricevere alcuna risposta. «Solo se si dimostrasse che lo scopo dichiarato di raccolta dei naufraghi fosse la copertura per un’attività di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – continua il marittimista – ci troveremmo di fronte a un reato. Ma come per tutti gli illeciti, prima di stabilire e infliggere una sanzione è necessario raggiungere la prova piena che certifichi il dolo». Si è infatti esaurita presto la minaccia di un «blocco» dell’imbarcazione annunciato da Toninelli sui social venerdì mattina e smentito appena un’ora dopo dalla portavoce di Sea Watch Italia, Giorgia Linardi.

Francesca Del Vecchio

Il Manifesto

3 febbraio 2019

 

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