Roma, le monetine tolte ai poveri


VITA


Dal 1° aprile, la Caritas non sarà più la destinataria delle monete della Fontana di Trevi, impiegate per i servizi per i poveri della città. Un taglio di 1,5 milioni, che finirà nelle mani di Acea.


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trevi

Il primo a decidere di destinare a iniziative di solidarietà le monetine lanciate dai turisti nella Fontana di Trevi era stato, nel lontano 2001, il sindaco Walter Veltroni. Una decisione conservata da tutte le giunte successive, di qualsiasi colore politico, compresa quella guidata da Gianni Alemanno. Ma con l’arrivo della giunta Raggi la consuetudine è stata messa presto in discussione, con l’istituzione di un gruppo di lavoro nell’ottobre 2017. E il processo è arrivato a conclusione: tra tre mesi, dal 1° aprile, la Caritas non sarà più la destinataria delle monete regalate dai turisti nel tradizionale lancio in fontana – dice la tradizione – per propiziare il ritorno a Roma. In concreto, per la Caritas diocesana vorrà dire un taglio secco di un milione e mezzo di euro. Una decisione che porterà a ridurre o chiudere molti servizi per i più poveri. Con prevedibili ripercussioni sul clima sociale della città.

Finora l’Acea, che è incaricata della manutenzione delle fontane romane, periodicamente svuota le vasche, insacchetta tutte le monete recuperate consegnandole a incaricati della Caritas romana alla presenza della Polizia di Roma Capitale che verbalizza la procedura. Il contenuto dei sacchetti poi dai volontari Caritas viene asciugato, pulito, separato per valuta, contato e infine versato in banca. La Caritas trimestralmente fornisce al Comune un resoconto su come vengono impiegate le somme che da diversi anni superano il milione l’anno. Nel 2018 il raccolto è stato di poco superiore al milione e mezzo di euro.

Altri tre mesi e poi più nulla. I soldi raccolti nelle fontane finora hanno coperto una fetta importante del bilancio Caritas che per il 70% è costituito da convenzioni pubbliche della Regione o del Comune (mense, ostelli, case famiglia…) e il restante 30% da fondi privati: per la metà dall’8 per mille della Cei, da collette e raccolte. E per l’altra metà dalle monetine della Fontana di Trevi. Una fetta importante, circa il 15% del bilancio della Caritas romana.

I soldi delle fontane in realtà non saranno semplicemente gestiti da altre realtà, per gli stessi scopi e gli stessi beneficiati. Dalla somma sarà sottratto il costo delle operazioni di conteggio e separazione delle molte migliaia di monete, finora fatto gratuitamente dai volontari Caritas, e dal 1° aprile a pagamento dagli addetti dell’Acea. Una parte poi sarà destinata a scopi diversi, ovvero la manutenzione del patrimonio culturale capitolino.

Il percorso comincia il 30 ottobre 2017 quando la Giunta Raggi affida ai Dipartimenti delle politica sociali e delle Attività culturali la costituzione di un gruppo di studio. Il 29 marzo 2018 la Giunta decide di prorogare l’accordo con la Caritas diocesana fino al 31 dicembre scorso. Ed è datata proprio 31 dicembre la Determinazione dirigenziale che chiude il canale di finanziamento alle attività della Caritas: altri tre mesi, fino al 31 marzo, poi stop. (…)

La cifra, che per 18 anni è stata devoluta completamente alle attività solidali della Caritas, ora sarà destinata solo parzialmente ad altri “progetti sociali”. Una parte, dunque, servirà per pagare l’Acea che fornirà il servizio di «insacchettamento, prelevamento, pulizia, conteggio e versamento», operazioni che la Caritas svolgeva senza oneri che avrebbero sottratto risorse ai servizi. E anche la somma rimanente, che dal 1° aprile sarà destinata genericamente a «progetti sociali» e non specificamente per i più poveri, sarà decurtata in parte per la «manutenzione ordinaria del patrimonio culturale».

Soldi non più gestiti dalla Caritas, dunque, ma – in misura ridotta – da altri enti pubblici o – tramite bandi – del privato sociale. Un ulteriore problematicità sta nel fatto che oggi ci sono iniziative solidali oggi affrontate dalla Caritas che non possono essere gestite attraverso progetti messi a bando. Ad esempio il pagamento delle bollette alle famiglie bisognose. O il contributo alle spese di gestione dei 145 centri di ascolto Caritas parrocchiali, che operano sì grazie ai volontari, ma hanno bisogno di collegamenti e attrezzature per lavorare in rete con un database dedicato.

Tutta l’azione caritatevole che la Caritas gestiva grazie alle monetine della Fontana di Trevi, insomma – e finora avveniva a costo zero – tra poco sarà caricata da costi di gestione molto più pesanti. L’esperienza insegna che nel privato sociale la quasi totalità delle risorse viene spesa per lo scopo cui sono destinate, in questo caso l’aiuto ai poveri. Quando lo fa la mano pubblica, spesso le proporzioni si invertono. E una buona parte dei fondi si perde nei rivoli della burocrazia. Invece che arrivare ai poveri.

VITA

12 gennaio 2019

 

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