Vogliamo battere il terrorismo?
La redazione
Proprio nelle ore dell’attentato al Parlamento europeo si discuteva di prevenzione al terrorismo. L’Italia, data l’esperienza degli anni 70/80 ha molto da insegnare. E la parola d’ordine è una: migliorare l’integrazione, non chiudere le porte!
L’attentato di martedì sera ai mercatini di Natale di Strasburgo è un evento che assume un significato ancora più pesante nella settimana della plenaria al Parlamento Europeo. A pochi giorni dal Natale e a una manciata di mesi dalle elezioni europee, l’ennesimo attacco all’Europa, stavolta direttamente al secondo dei suoi due cuori, è un trauma nella vita di tutti i cittadini, una minaccia alla sicurezza pubblica in mezzo alla fitta agenda di discussioni e votazioni all’interno del Parlamento.
“Bisogna reagire, ecco perché ieri abbiamo continuato a lavorare fino a mezzanotte e anche oggi lavoriamo, perché il Parlamento è il centro della democrazia, e noi la difendiamo lavorando”, ha detto il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani in apertura della prima sessione. “Bisogna cambiare l’Europa ma non distruggerla, solo così possiamo vincere contro la violenza”.
Il messaggio che arriva dalle istituzioni, insomma, è forte, ma forse è anche un messaggio disperato, l’ultimo per dare sostanza al ruolo dell’Unione, al tempo dei sovranismi e della crisi migratoria, ora che si è aggiunto un altro tassello al complesso puzzle che già minaccia la stabilità comunitaria? “Il messaggio del Parlamento oggi è stato giusto, bisognava dare una risposta forte a quelli che approfittano della prima occasione per strumentalizzare”, ha detto a Linkiesta Elly Schlein, deputata tra le file dei socialisti e democratici al Parlamento europeo.
Il riferimento è alla boutade di ieri in plenaria del leghista Angelo Ciocca, il quale ha puntato il dito contro “le responsabilità che qualcuno vuole continuare a non vedere; gli errori della Francia e dell’Europa non possono continuare spalleggiare un estremismo islamico che toglie la vita ai cittadini”. La parte più sconcertante dell’intervento, però, resta lo sventolio finale di un gilet giallo, unito alla provocazione: “mi unisco alla protesta”, che immediatamente sollevava nell’aula un boato di sdegno.
Perché se è vero che un pazzo ha tirato fuori una pistola e si è messo a sparare uccidendo tre persone e ferendone altre tredici, tra cui un giovane giornalista italiano che ora si trova in bilico tra la vita e la morte, e se è vero che quel pazzo era già noto alle autorità, e che quindi esiste almeno una possibilità per cui la tragedia avrebbe potuto essere sventata, sarebbe semplicistico ridurre tutto a mera questione religiosa (il movente jihadista, peraltro, sarebbe ancora da confermare), inneggiando alla chiusura dei confini come difesa contro l’immigrazione di massa e la minaccia islamista, vecchio cavallo di battaglia delle destre europee.
“Il terrorista che ha compiuto questi atti è nato qui a Strasburgo, quindi quali confini vogliamo chiudere, questi sono personaggi che si radicalizzano”, dichiara a Linkiesta Fulvio Zanonato, europarlamentare dei Socialisti e Democratici ed ex ministro allo sviluppo economico del governo Letta. “Si deve fare attività di prevenzione e intelligence, colpire coloro che stanno organizzando gli attacchi, e puntare sull’integrazione, creare un contesto che consenta a tutti i membri della comunità di sentirsi protagonisti e non emarginati, non isolati”.
È stata, in fondo, una coincidenza un po’ cinica a volere che, tra le varie votazioni della giornata di martedì, fosse inclusa anche la risoluzione della Commissione speciale sul terrorismo. Un documento (approvato con larga maggioranza) che porta proposte concrete sul tema, dal rafforzamento dell’Europol al miglioramento dei sistemi di condivisione dei dati a fini preventivi sui soggetti e le attività pericolose, ponendo le basi per affrontare la radicalizzazione, anche su internet, per aumentare la protezione alle vittime del terrorismo e per creare un centro di coordinamento dell’Unione Europea.
Tra le figure chiave del rapporto sul terrorismo, votato quasi all’unanimità in Parlamento, c’è anche Caterina Chinnici, magistrato di lunga data e figlia di Rocco Chinnici, il giudice palermitano che nell’estate del 1983 venne assassinato dalla mafia con un’autobomba. Ormai da tempo, in veste di europarlamentare, Chinnici si occupa di terrorismo, e nel 2017 aveva anche contribuito anche alla redazione dell’attuale direttiva europea sul terrorismo, da cui è nata la Commissione speciale. “Il sistema ha il vizio di muoversi solo in seguito ai fatti di cronaca: era stato così per l’Italia negli anni ‘80 e lo è oggi per l’Unione europea”, dice a Linkiesta. “In questo senso il contributo dell’esperienza maturata in Italia è di alto livello, perché per anni abbiamo dovuto confrontarci con la criminalità organizzata. Il terrorismo jihadista è una forma di criminalità transnazionale, simile alla criminalità organizzata, tant’è che tra loro hanno contatti, a partire dai metodi di finanziamento”.
Questi atti sono espressione di un disagio sociale che nasce dalle periferie delle nostre città. Dobbiamo ridurre le disuguaglianze che abbiamo in Europa e mettere in campo politiche serie di integrazione
Perciò la risoluzione votata ieri contiene linee d’azione per il contrasto del riciclaggio, della vendita illegale di armi e in generale di alcuni degli strumenti già adottati contro la criminalità organizzata per contrastare il terrorismo. “L’aspetto della cooperazione tra le diverse forze di polizia, la magistratura e la procura nazionale antimafia e antiterrorismo, che coordina tutte le indagini, è ormai consolidato nel nostro paese e per questo è stato riproposto anche nel testo europeo. In Italia finora siamo riusciti attraverso la prevenzione ad evitare episodi drammatici. Ogni tanto viene espulso un potenziale elemento di rischio, e questo è un segno del grande lavoro che viene fatto”. Per una volta, sembra che l’Italia abbia qualcosa da insegnare all’Europa. Ciò detto, però, stando alle parole delle stesse autrici della risoluzione la minaccia non si potrà mai considerare azzerata da nessuna parte, e mai bisogna “abbassare la guardia”.
Nell’insieme, la risoluzione tocca diversi fronti, dalla interoperabilità delle informazioni alle azioni di monitoraggio della radicalizzazione all’interno delle carceri, alla redazione di una lista nera per i predicatori di odio. Si tratta però di un inizio: la strada è ancora tutta in salita, e l’Europa per tanti versi è lontana dai propri cittadini. “Come nel caso dei gilet gialli, questi atti sono espressione di un disagio sociale che nasce dalle periferie delle nostre città”, conclude Schlein. “Il vero tema, oggi, è che dobbiamo ridurre le disuguaglianze che abbiamo in Europa e mettere in campo politiche serie di integrazione”.
Nei corridoi del Parlamento, nel frattempo, è calato il buio. Appena ventiquattro ore prima, in quelle stesse sale, i deputati si stringevano ai loro collaboratori; fuori, la gente nei ristoranti del centro si nascondeva sotto ai tavoli. “È la democrazia che uccide il terrorismo”: dall’emiciclo, la voce dell’Europa parla a tutti, invitando a risollevarsi. Dopo Parigi, Copenaghen, Bruxelles, Nizza, Berlino, Londra e Barcellona, ancora una volta l’Unione chiama. “Nessun tipo di violenza minerà la nostra passione per la democrazia. Questa della democrazia è la casa, e noi non tremeremo”.
LINKIESTA