Camminando nel nome della Pace
Sabina Fadel
Compie 50 anni la Marcia Perugia-Assisi. L’intervista a Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace. “C’è un valore straordinario nel ritrovarsi per camminare insieme”.
Spegnerà la sua cinquantesima candelina proprio quest’anno e questo significa che ha ormai raggiunto da un pezzo la piena maturità e così pure la consapevolezza del proprio ruolo. La cinquantenne in questione altri non è che la Marcia per la pace Perugia-Assisi, un must per quanti in Italia lavorano per una cultura di pace. Fondata nel 1961 da Aldo Capitini (iniziatore del Movimento nonviolento in Italia) ha l’obiettivo di diffondere i princìpi della nonviolenza e di svolgere a livello sociale un’importante azione di sensibilizzazione su questi stessi temi. Ne abbiamo parlato con Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace, l’associazione organizzatrice e anima dell’evento.
Qual è il bilancio di questi primi cinquant’anni?
È un bilancio controverso. Estremamente positivo da un lato, perché l’idea di convocare una marcia della pace nel «dì di festa», come pensò Aldo Capitini negli anni più difficili della guerra fredda, ha trovato nella terra di san Francesco un humus straordinario che le ha consentito di diventare una manifestazione unica a livello mondiale (non c’è una manifestazione di pace che si stia ripetendo e rinnovando da così lungo tempo). Ma anche negativo, perché ponendo in evidenza i problemi che ancora oggi addensano l’agenda della pace non possiamo non notare le grandi criticità e i problemi ancora irrisolti. Grandi passi sono stati compiuti, ma ingiustizie, violazioni dei diritti umani e guerre continuano ancora oggi a dominare la vita di centinaia di milioni di persone. Una responsabilità che grava sui tanti che, pur avendo strumenti e mezzi per intervenire, non lo hanno ancora fatto.
Com’è cambiato l’impegno per la pace in questi anni?
È cambiato moltissimo. Innanzittutto perché nel mondo è cresciuta una coscienza di pace profonda e positiva, fondata sul pieno riconoscimento della dignità della persona, di tutte le persone e dei diritti fondamentali di ogni uomo. Da questo punto di vista la cultura della pace si è fortemente diffusa in tutto il mondo. Purtroppo non è ancora diventata politica; e noi tutti, oggi, sappiamo che questo è necessario oltre che possibile.
Che cosa vuol dire concretamente diffondere una cultura di pace?
Significa agire nella società coniugando i diversi mondi da noi abitati, assumendoci fino in fondo la nostra porzione di responsabilità e promuovendo in ciascuno di essi una cultura di pace. Oggi costruire una cultura di pace vuol dire, innanzitutto, saper riconoscere e rispettare il volto degli altri. Non è possibile parlare di pace senza crederci fino in fondo e non è possibile crederci senza agire di conseguenza in modo coerente.
Ha ancora un senso, oggi, marciare per la pace?
C’è un valore straordinario nel ritrovarsi per camminare insieme. La cultura di oggi è permeata di individualismo e non della comunità; viviamo nel tempo dell’io e non del noi. Eppure, non riusciremo a uscire da questa crisi se non recupereremo il valore, anche simbolico, del camminare insieme. I media spesso ci raccontano di un mondo nel quale per salvarsi è necessario lottare gli uni contro gli altri, come in una giungla. Ma così non è. Dobbiamo recuperare quelle esperienze collettive, direi addirittura comunitarie, improntate all’idea della fratellanza della «sorellanza» che ci permettono di riscoprire il valore del noi e l’utilità che esso ha per le nostre vite personali. Camminare per la pace non significa pensare agli altri, ma a se stessi nel modo più bello ed efficace.
Sulla Marcia per la pace non sono mancate le polemiche. Vi siete mai sentiti strumentalizzati?
Chi lavora per la pace deve avere sempre in mente l’obiettivo – la pace appunto – che non è una parola vuota, un’espressione priva di senso. La ricerca della pace per noi ha il volto di tutte le persone i cui diritti fondamentali vengono continuamente violati. Ha il volto di quanti vivono in Paesi di guerra, di quanti continuano a morire di fame e di sete, di quanti sono incarcerate ingiustamente, di quanti muoiono lungo le strade in fuga dalla miseria. Sono i volti di quelle persone che noi lasciamo vivere in condizioni inumane anche all’interno delle nostre città. Se noi abbiamo questo obiettivo, come possiamo preoccuparci delle polemiche, delle critiche, delle strumentalizzazioni? Abbiamo il dovere di continuare a riflettere sulle cose che facciamo, per cercare di renderle sempre più efficaci, sempre più utili alla crescita di quanti sono non più poveri, ma più impoveriti, non più deboli ma più colpiti da quella violenza che purtroppo vediamo crescere nella nostra società e nel mondo intero.
Quali elementi di speranza vede per un futuro di pace?
La speranza sta nel lavoro quotidiano, spesso invisibile ai grandi media, che molte persone continuano a fare anche in questo nostro Paese. La speranza sta nei tantissimi giovani che, nonostante i pochi riferimenti, non cedono alla logica ricattatoria del «tutti contro tutti». La speranza sta nell’impegno di chi tratta le sofferenze altrui come se fossero proprie. Quanti si sono incamminati lungo la strada della Perugia-Assisi sono fra questi, sono un passo avanti, sono quelli che tengono accesa la luce nella notte.
L’edizione del Cinquantesimo quando avrà luogo e con quale tema?
Si terrà domenica 25 settembre 2011, esattamente a cinquant’anni dalla prima marcia che si svolse il 24 settembre 1961. Del tema stiamo ancora discutendo: vorremmo riproporre accanto alla parola pace la stessa idea di fratellanza che c’era nella prima edizione della marcia. Vorremo anche che la Perugia-Assisi del cinquantesimo fosse un’occasione per fare un bilancio non solo e non tanto del cammino fin qui fatto, ma delle sfide che dobbiamo ancora affrontare, prima che sia troppo tardi.
Fonte: Messaggero di Sant'Antonio, Inserto Spirito di Assisi
Pagg.60-61, Jesus
gennaio 2011