Prigionieri nel Sinai


Peace Reporter


Nelle mani di un gruppo di trafficanti da oltre un mese. Questo il dramma di un gruppo di profughi che cercava una nuova vita in Israele.


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Prigionieri nel Sinai

Pensavano di essersi lasciati il peggio alle spalle ma l'incubo è cominciato in quel momento. Duecentocinquanta profughi, da oltre un mese, sono prigionieri di trafficanti di esseri umani che li tengono in una località del Sinai in attesa che le famiglie degli ostaggi paghino il riscatto. Alcune istituzioni internazionali come Onu e Parlamento Europeo si sono mosse ma senza risultati. Una preoccupante indifferenza, invece, arriva dalle autorità egiziane, che pure avrebbero tutte le informazioni disponibili per intervenire e mettere in salvo gli ostaggi.

La trappola. La storia comincia a metà novembre, quando un gruppo di disperati che non era riuscito a imbarcarsi in Libia per l'Italia entrano in contatto con un gruppo di trafficanti che promettono di portarli in Israele dove avrebbero potuto chiedere la cittadinanza. Bastava pagare duemila dollari a persona. Sembra facile. I migranti ci credono e accettano ma a un passo dalla meta il viaggio si interrompe. Nel Sinai, molto probabilmente al confine con la Striscia di Gaza, i trafficanti incarcerano i clandestini e chiedono alle famiglie di ciascuno di loro di pagare un riscatto di ottomila dollari. Qui comincia lo stallo che si protrae da oltre un mese, visto che le famiglie degli ostaggi non sono in condizione di sborsare altri soldi. "Si tratta di 250 persone, eritrei per la maggior parte ma ci sono anche etiopi, somali e sudanesi", ci dice al telefono Khataza Gondwe, la capomissione per l'Africa Subsahariana di Christian Solidarity Worldwide (Csw), una delle organizzazioni non governative che più si sta impegnando per il rilascio degli ostaggi. "La crisi è cominciata un mese ma è solo l'ultimo capitolo di un problema che dura da anni, quello delle bande di beduini e trafficanti di persone che speculano sulle crisi del Corno d'Africa, come la guerra in Somalia, quella in Darfur", spiega l'esperta. Gli eritrei, secondo quanto ricostruito da Csw, sarebbero in fuga da una persecuzione religiosa e sarebbero passati attraverso il Sudan. "Da lì sono stati portati in Libia, da dove speravano di arrivare in Europa ma quella tratta al momento è sospesa, così i trafficanti si sono diretti verso l'Egitto alla volta di Israele", continua la funzionaria dell'organizzazione, che attraverso una ong italiana, EveryOne Group è riuscita a comunicare direttamente con alcuni degli ostaggi, che hanno raccontato delle tremende condizioni in cui sono tenuti.

Condizioni disumane. "Sono incatenati ad alberi – racconta la Gondwe -, marchiati come animali, torturati con l'elettroshock, costretti a bere la loro urina, privati di cibo; le donne sono violentate sistematicamente. I banditi contattano le famiglie degli ostaggi, chiedono altri ottomila euro e anche quando il riscatto viene pagato ai rappresentanti di questi gruppi, in Israele, in Eritrea o Sudan, le persone rimangono prigioniere finché non arriva un nuovo gruppo di disperati da detenere e allora, forse, vengono liberati". Negli ultimi giorni, però, i contatti sono saltati e non è stato più possibile conoscere gli sviluppi e se ci siano stati altri morti. "Ci risulta che tre persone sono state uccise subito, perché le loro famiglie avevano dichiarate di non poter pagare; tre sono morte dopo che avevano tentato una fuga insieme ad altre nove ostaggi, sui quali i carcerieri avevano aperto il fuoco; la settimana scorsa sono stati uccisi due religiosi, forse come atto dimostrativo". Secondo le cifre fornite da diverse Ong, sono circa diecimila i profughi che in tre anni sono stati portati dal Corno d'Africa in Israele. Scrive Seth J. Frantzman che nel solo 2007 48 prigionieri sono finiti nel nulla, 139 secondo un'altra organizzazione. Non sono più fortunati quelli che arrivano in Israele ma vengono immediatamente rispediti in Egitto: i militari egiziani hanno la mano pesante. A volte – raccontano operatori umanitari – sparano anche a vista, se vedono qualcuno che stia attraversando la frontiera illegalmente. EveryOne Group ha scritto una lettera alle autorità de Il Cairo in cui forniva anche le coordinate precise per liberare gli ostaggi ma dal governo sono arrivate risposte evasive: prima hanno negato l'esistenza di qualsiasi problema, poi l'hanno attribuito alla propaganda antiregime. Ma qualcosa deve esserci, se il 14 dicembre anche il Parlamento Europeo, letto il report di Unhcr, l'agenzia Onu per i rifugiati, ha adottato una risoluzione d'urgenza per chiedere a Il Cairo di intervenire attivamente per liberare i prigionieri e arrestare i trafficanti responsabili del sequestro. Parole vane, fino ad ora.

di Alberto Tundo

Fonte: PeaceReporter

20 dicembre 2010

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