Gli eritrei ostaggio in Sinai: “Fate presto perché qui stiamo morendo”


Luca Liverani


La richiesta d’aiuto lanciata attraverso il Mediterraneo dai profughi tenuti in ostaggio nel deserto del Sinai. L’Egitto si muove per la liberazione…


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Gli eritrei ostaggio in Sinai: “Fate presto perché qui stiamo morendo”

L’Egitto si muove per la liberazione dei profughi eritrei in ostaggio in Sinai. I servizi di sicurezza egiziani stanno trattando con i capi tribù della regione al confine con Israele, per ottenere il rilascio delle centinaia di persone brutalizzate dai rapitori, che per la liberazione ora chiedono alle famiglie 8 mila dollari per ciascuno. A Roma, quasi due settimane dopo la prima denuncia del 25 novembre scorso su "Avvenire" (seguita, nei giorni successivi, da altri sette grandi titoli in prima pagina), parlamentari di diversi schieramenti premono sull’Unione europea perché promuova una evacuazione umanitaria e dia asilo ai profughi. Per l’Unhcr la situazione è anche frutto della politica italiana dei respingimenti.

Ma il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi puntualizza: «La Farnesina si sta occupando della vicenda, come per ogni caso umanitario, attraverso i canali bilaterali e multilaterali nel rispetto della sovranità dell’Egitto. Ci siamo mossi anche su Bruxelles. Ma non è una questione che riguarda il governo italiano: usciamo da questo equivoco, non sono profughi dal nostro territorio. Non è il governo italiano – sottolinea – che può e deve risolvere la vicenda».

A quanto riferisce l’Ansa, i servizi egiziani stanno trattando con le autorità tribali della zona. Insieme ai 250 eritrei ci sono circa altri 300 africani. Il gruppo degli eritrei sarebbe in mano ad un solo trafficante in una zona ancora non localizzata. Ma gli ostaggi in totale sarebbero circa 1.500 provenienti da Sudan, Etiopia, Guinea e Nigeria, detenuti nella zona attorno ad El Hassnah, al centro del Sinai, ma anche a sud di Rafah, pochi chilometri dal confine con Israele, meta cui puntavano i profughi in fuga dalla Libia, vista l’impossibilità di uno sbarco in Europa. Le fonti egiziane confermano che i migranti sono spesso usati dai sequestratori per l’espianto di organi.

«I beduini sono armati fino ai denti», spiega don Mosé Zerai. Il sacerdote eritreo che sta tenendo i contatti con alcuni ostaggi ha partecipato alla conferenza al Senato organizzata dal presidente dell’Associazione "A buon diritto" Luigi Manconi, cui sono intervenuti tra gli altri per il Pd Livia Turco e Jean Leonard Touadì e i radicali Matteo Mecacci e Rita Bernardini, per Fli Benedetto Della Vedova e per l’Udc Paola Binetti e Savino Pezzotta. Proprio da Pezzotta, che è anche presidente del Cir, viene la proposta di un appello trasversale dei parlamentari all’Ue.

«I rapitori – spiega don Zerai – invitano gli ostaggi a chiamare i familiari per il riscatto». Un giovane di 26 anni ieri gli raccontava di come la situazione stesse precipitando: «Hanno ricominciato a picchiarci – ha raccontato l’ostaggio – e siamo pieni di piaghe per le percosse. Tra di noi ci sono donne incinte e bambini piccoli. Non ci laviamo da un mese, viviamo nella spazzatura. Fate presto, fate qualcosa».

Il direttore del Consiglio italiano dei rifugiati (Cir) Cristopher Hein spiega che «sono trafficanti di droga e di armi verso Gaza. Israele ora è una meta per i profughi. Le politiche europee di respingimento dell’immigrazione irregolare impediscono anche a loro di cercare scampo dalle guerre. Israele sta costruendo un muro di 110 chilometri sul confine con l’Egitto. I soldati hanno l’ordine impedire fisicamente il passaggio: eritrei e somali sono morti così».

Per Laura Boldrini, portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unchr), «l’Italia ha una corresponsabilità» nella vicenda: la politica dei respingimenti verso la Libia contro l’immigrazione irregolare iniziata a maggio 2009 «ha impedito di fatto la fruibilità del diritto di asilo, sancito dalla Costituzione e dalla Convenzione di Ginevra». Manconi cita i dati relativi alle domande del 2008: «A Lampedusa il 74% faceva domanda di asilo e oltre la metà veniva accolta dell’Italia».

Don Zerai conferma: «Un centinaio tra gli ostaggi sono i profughi respinti dall’Italia. Fui io, a giugno 2009, a ricevere l’appello degli eritrei in mare. Lanciai l’allarme alle autorità italiane: aspettarono tre giorni in mare, poi una vedetta italiana li riportò in Libia». Racconta Mecacci, radicale del Pd: «All’epoca il sottosegretario Nitto Palma ci assicurò che tra gli 800 respinti nessuno aveva chiesto l’asilo».

Fonte: Liberazione

8 dicembre 2010

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“Fate presto perché qui stiamo morendo”. È la richiesta d’aiuto lanciata attraverso il Mediterraneo dai profughi tenuti in ostaggio nel deserto del Sinai ormai da una trentina di giorni e raccolto dall’Agenzia Habeshia, che questa mattina presso la sala stampa di Palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica, rilancia un appello alle istituzioni italiane affinché possano fare pressione sul governo egiziano per far sì che i circa 250 profughi eritrei, etiopi, somali e sudanesi prigionieri possano salvarsi dal baratro su cui pendono. L’iniziativa, organizzata dall’associazione A buon diritto e il Consiglio italiano per i rifugiati, è stata voluta per porre l’attenzione del mondo politico sul ruolo dell’Italia in una nuova tragica vicenda di cui sono vittima i profughi che scappano da scenari di guerra e da condizioni di vita difficili.
 
La situazione aggiornata delle condizioni di vita dei profughi la fornisce don Mussie Zerai, sacerdote cattolico eritreo, direttore dell’Agenzia Habeshia. “Ho chiamato alle 9:30 di stamattina per chiedere la situazione attuale – ha spiegato Zerai -. Ogni ora che passa è sempre più drammatica”. In catene come schiavi: umani, uomini, donne – alcune incinte – e bambini. Tenuti in ostaggio da beduini trafficanti per chiedere un riscatto. Ma ora dopo ora, ha affermato Zerai, la situazione diventa sempre più critica. “Mi hanno riferito che non è cambiato nulla – ha raccontato -. Sono ancora in catene, in condizioni disperate. Una delle donne è incinta e mi ha detto che non ce la fa in queste condizioni. Vivono nella sporcizia, in condizioni igienico sanitarie pessime. Alcuni sono feriti a causa delle botte prese, soprattutto con lo scadere degli ultimatum lanciati dai trafficanti sabato e domenica, quelli che non hanno versato neanche un centesimo sono stati picchiati selvaggiamente. Parlano di teste fracassate, braccia e gambe rotte. C’è chi zoppica e chi sanguina, c’è un’urgenza di cure”.
 
L’obiettivo dei trafficanti è ottenere un riscatto dai familiari. Don Mussie Zerai, infatti, riesce a mettersi in contatto con loro fingendo di essere un parente. Ma chi non ha parenti o possibilità economiche per pagare il riscatto fa una brutta fine, le intenzioni dei trafficanti vanno oltre ogni immaginazione. “Dalle informazioni che ci hanno dato ci risulta che li costringono a chiamare i familiari. Chi fa resistenza viene marchiato con il fuoco. Sabato, poi, hanno prelevato 4 persone che dicevano di non aver nessuno che poteva pagare il riscatto. Sono stati portati in clinica per poter asportate un rene e venderlo. Di loro non hanno avuto più notizia. Ogni ora che passa diventa sempre più pericolosa per queste persone”.
 
Ma in questo scenario qual è il ruolo dell’Italia? La richiesta di un impegno immediato nel far pressione alle autorità egiziane, si affianca anche ad un’accusa alle politiche dei respingimenti. “La decisione di respingimenti e la chiusura dei propri confini porta anche a queste situazione. L’Italia in questo senso è coinvolta. Molti dei prigionieri sono partiti dalla Libia, sono circa 80. Tra loro anche una donna con un bambino di 8 mesi che era stata respinta il 6 giugno di questo anno, quando erano vicino a Lampedusa. Fui io stesso a lanciare l’allarme alle autorità. Hanno aspettato tre giorni perché arrivasse una motovedetta italiana con agenti libici. Questa donna ora è lì”. Oggi, però, sul nodo dei respingimenti prevale la necessità di salvare queste persone. “L’unico che può intervenire è lo stato egiziano – ha affermato Zerai -. Occorre insistere e premere sul governo egiziano perché intervenga. Sono a poche distanze dal confine israeliano. Le informazioni sulla loro posizione e il numero di telefono a cui chiamo sono già state consegnate alle autorità italiane e all’Unhcr del Cairo per localizzarli al più presto possibile. I trafficanti sono al corrente del tam tam mediatico e c’è il rischio che vengano spostati in un altro luogo”.

Fonte: Redattore Sociale

7 dicembre 2010

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