Haiti, 100.000 persone con il colera. Esplode la rabbia


Emanuela Citterio


Un’emergenza senza fine. Ad Haiti, dove la ricostruzione a quasi un anno dal terremoto non è neppure cominciata, è scoppiato il colera. Attacchi a caschi blu e volontari Usa.


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Haiti, 100.000 persone con il colera. Esplode la rabbia

Un’emergenza senza fine. Ad Haiti, dove la ricostruzione a quasi un anno dal terremoto non è neppure cominciata, è scoppiato il colera. Sono oltre 1000 le vittime e i casi di contagio accertati 14.642. Ma l’Organizzazione mondiale della sanità avverte che per ogni caso che arriva ed è confermato in laboratorio bisogna calcolarne almeno altri 75. Il colera quindi potrebbe aver colpito già quasi centomila persone.
«Si cerca di controllare l’epidemia, l’aspetto positivo è che essendo già mobilitati per il terremoto qui ad Haiti siamo pieni di organizzazioni umanitarie e mediche, quindi la risposta c’è, è coerente e immediata, ma il centro del paese è senza ospedali, senza servizi adeguati, e il contagio viene dal fiume, non puoi sterilizzare un fiume». Fiammetta Cappellini vive e lavora nella capitale di Haiti Port-au-Prince con l’organizzazione non governativa Avsi, ha sposato un haitiano e ha un bambino di due anni. Ha vissuto il terremoto del 12 gennaio, è rimasta ad Haiti, ha organizzato gli interventi di soccorso e da qualche tempo aveva ricominciato a fare il suo lavoro: occuparsi dei progetti educativi con i minori nelle bidonville di Citè Soleil e Martissant. Poi è successo quello che molti temevano e avevano cercato di scongiurare: «L’epidemia di colera dilaga a Port-au-Prince e altrove» scrive Fiammetta in un aggiornamento del 10 novembre. «La città e la cooperazione internazionale sono in preda al panico».
A dieci mesi esatti dal terremoto, l’epidemia di colera è deflagrata nella capitale Port-au-Prince, dopo i primi casi nel nord. Secondo l’Oms potrebbe essersi originata dalla contaminazione del fiume Artibonite, dove è stato individuato lo stesso batterio presente nel sudest asiatico. La rabbia della popolazione si è scatenata contro i caschi blu dell’Onu di origine nepalese, in una sorta di caccia all’untore scatenata dal panico collettivo. A coordinare il contrasto dell’epidemia e a curare i contagiati è al momento soprattutto Medici senza frontiere, una presenza provvidenziale, ma anche il segno che il governo locale e il ministero della sanità non hanno le risorse e la capacità di prendere in carico la situazione.
«Il fatto è che siamo molto esperti nella gestione delle epidemie» minimizza da Bruxelles Rosa Crestani, responsabile delle urgenze di Medici senza frontiere. «Poi bisogna tener conto che i medici e gli infermieri haitiani non sanno cos’è il colera, visto che non compariva nel Paese da duecento anni. Stiamo cercando il più possibile di formarli, anche perché altrimenti saremo presto sommersi. La situazione è molto preoccupante e i casi continuano ad aumentare».
L’ultima tragedia di Haiti è esplosa nonostante il lavoro e la massiccia presenza di molte organizzazioni umanitarie. Si poteva evitare? «Il colera scoppia solo se c’è il vibrione responsabile della malattia e finora ad Haiti non c’era» spiega Rosa Crestani. «In realtà dopo il terremoto non si temeva il colera ma epidemie di tetano, febbre tifoide, morbillo ed è partita subito la vaccinazione».«Quel che è certo» afferma l’esperta di Msf «è che ad Haiti, e in particolare a Port-au-Prince c’erano tutte le condizioni perché il colera esplodesse, ovvero pessime condizioni igieniche, difficoltà di accesso ad acqua pulita e sicura, sovraffollamento nei campi sfollati».
A quasi un anno dal terremoto sono un milione e 500 mila le persone che vivono ancora negli accampamenti tendati. «Qui a Port-au-Prince in un anno sono solo state spostate le macerie, non ci sono segni di ricostruzione» dice Enzo Maranghino, responsabile Paese dell’ong Cesvi, descrivendo al telefono i quartieri della capitale. «Noi delle ong abbiamo distribuito gli aiuti di emergenza, lavorato alla riabilitazione delle scuole, costruito latrine e punti di rifornimento dell’acqua potabile. Molto lavoro è stato fatto, ma la ricostruzione delle case spetta al governo con il supporto delle agenzie delle Nazioni Unite, non possiamo farla noi, non ci è proprio consentito. E adesso con il colera siamo di nuovo in piena emergenza».
«Le ong hanno finora retto l’urto ma non c’è una strategia di uscita dall’emergenza su larga scala» dice dalla capitale di Haiti Stefano Ellero, rappresentante ad Haiti del network italiano per le emergenze AGIRE, di cui fanno parte 11 organizzazioni umanitarie italiane, 9 delle quali sono presenti e operative nell’isola caraibica. «Tutti pensavano che le persone sarebbero uscite dai campi entro un anno dal sisma, invece questo non sta avvenendo e la situazione nei campi diventa sempre più pericolosa». La ricostruzione spetta al governo, ma secondo le informazioni che circolano ad Haiti, niente si sbloccherà fino a dopo le elezioni, programmate per il 28 novembre. Tenendo conto che il nuovo presidente di Haiti dovrebbe entrare in carica a febbraio, il piano di ricostruzione dovrà ancora attendere.
Edmond Mulet, il direttore della missione delle Nazioni Unite ad Haiti, ha detto che la comunità internazionale è in parte responsabile della debolezza del Paese. «Abbiamo creato una repubblica delle ong» ha detto di Haiti, «ce ne sono circa 10mila, e alcune di loro fanno un ottimo di lavoro, ma molte altre sono là e nessuno sa esattamente cosa facciano, e da dove arrivino e dove vadano i loro soldi. Abbiamo creato strutture parallele nella sanità, nell’educazione e in tanti altri campi che dovrebbero essere di dominio haitiano».
«Non c’è dubbio che dovrebbe essere il governo a prendere in mano la situazione» afferma Ellero. «Ma stiamo parlando di un Paese che fa parte dei 30 più poveri del mondo, con molti problemi di governance. Il caso del colera è emblematico: in questi giorni sono Msf e Oxfam a contrastare l’epidemia, e la cosa più importante, in questo momento, è salvare vite umane».

Fonte: Unimondo

17 novembre 2010

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