Somalia. L’attacco più sanguinoso di sempre


Nena News


Sabato un camion-bomba è saltato in aria nel quartiere commerciale Hodan, a Mogadiscio. L’ultimo bilancio parla di 276 morti e 300 feriti in un paese in guerra permanente da due decenni, flagellato da jihadismo e carestia


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mogadiscio

“I morti sono così bruciati da essere irriconoscibili. L’attacco più sanguinoso di sempre”. Le parole del funzionario di polizia Ibrahim Mohamed all’Afp provano a descrivere la strage di sabato a Mogadiscio. Questa mattina è stato emesso un nuovo bilancio: 276 morti e 300 feriti negli ospedali.

Sabato pomeriggio il livello di distruzione e morte era apparso più basso: si parlava di 50 morti. Ma il camion-bomba esploso davanti all’hotel Safari nel centro della capitale somala, a poca distanza dal Ministero degli Esteri, lungo una strada trafficata e piena di gente e venditori ambulanti, ha devastato l’intera zona. L’albergo è collassato, schiacciando le persone presenti all’interno, i palazzi vicini sono stati seriamente danneggiati, in parte crollati, e le auto in fiamme. Il quartiere colpito, Hodan, è una zona commerciale, piena di negozi, hotel, venditori ambulanti e vita.

I testimoni parlano di un boato terrificante, sentito anche a chilometri di distanza in linea d’aria. Quel che resta è un cratere di macerie, sangue, pezzi di corpi e polvere. Nelle auto bruciate e nei minibus sono stati ritrovati cadaveri, uccisi dal fuoco.

Da sabato vanno avanti le operazioni di soccorso, per tirare fuori dalle macerie tutte le vittime. Di certo si sa solo che la polizia era stata insospettita dal camion e lo stava seguendo prima che saltasse in aria. L’hotel Safari, sebbene molto conosciuto, non è frequentato da stranieri, diplomatici e politici locali ma si trova vicino a diverse sedi diplomatiche e istituzionali.

Al momento nessun gruppo ha rivendicato l’attacco ma il principale sospetto è al-Shabaab, formazione islamista legata ad al Qaeda e responsabile di decine di attacchi suicidi e attentati nel paese. Sei anni fa il gruppo fu cacciato dalla capitale Mogadiscio da un’operazione congiunta di esercito somalo e Unione Africana, perdendo il controllo di numerose città nel sud della Somalia. Non si sono, però, ritirati: al-Shabaab continua a controllare aree rurali a sud e da lì organizzare attacchi contro target civili e militari e a infiltrarsi nel vicino Kenya, destabilizzando anche Nairobi.

L’obiettivo, hanno raccontato in questi mesi alla stampa ex miliziani, è costituire uno Stato islamico nella zona meridionale della Somalia. Contro di loro restano nel paese 22mila soldati dell’Unione Africana. Negli ultimi mesi è inoltre cresciuto il livello di intervento da parte degli Stati Uniti – i cui rappresentanti militari sono stati incontrati dai vertici somali due giorni prima dell’attentato – attraverso il bombardamento con i droni nel sud del paese.

Il presidente somalo, eletto a febbraio (il primo dopo 20 anni) Mohamed Abdullahi Mohammed, noto come Farmajo, ha dichiarato tre giorni di lutto mentre la reazione della gente è stata immediata: centinaia di persone sono scese in piazza dopo l’attacco, cantando slogan contro la violenza, con indosso bandane rosse e bianche. “I terroristi non hanno pietà. Dobbiamo restare uniti”, dice uno dei manifestanti”. “Non c’è casa oggi che non pianga qualcuno”, aggiunge l’attivista Abukar Sheik.

Ieri il primo ministro somalo Ali Khaire ha nominato una commissione di 16 membri – ministri, leader religiosi e rappresentanti della società civile – che si occuperà di organizzare i funerali e di garantire assistenza ai feriti. Ci si organizza in uno Stato che da sempre è stato usato come modello per descrivere il fallimento delle istituzioni: Somalia Stato fallito, il mantra sempre ripetuto. Da febbraio il nuovo presidente è al lavoro con di fronte a sé innumerevoli dossier, a partire dalla privatizzazione selvaggia di ogni servizio e infrastruttura.

Non solo: priva di un’autorità centrale solida, la Somalia è flagellata dalla carestia che ha colpito anche Yemen, Sud Sudan e Nigeria, che si inserisce in un contesto di guerra ormai permanente da due decenni e dalla presenza attiva di gruppi jihadisti.

16 ottobre 2017

Nena News

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