Gerusalemme Est. In discussione la colonia più grande
NEAR EAST NEWS AGENCY
Domenica, rivela Peace Now, il Comune discuterà dei permessi di costruzione per 176 case nella colonia di Nof Zion, all’interno del quartiere palestinese di Jabal al-Mukaber. Diventerebbe così la più ampia nel cuore della parte araba della città. Continuano, intanto, le proteste a Sheikh Jarrah per lo sfratto della famiglia Shamasneh
Domenica le autorità israeliane hanno in agenda un incontro per discutere il rilascio di permessi di costruzione per 176 unità abitative per coloni nel cuore del quartiere palestinese Jabal al-Mukaber, a Gerusalemme est.
A discutere il nuovo piano sarà il Comitato per la pianificazione e la costruzione del Comune di Gerusalemme. Nuove case per coloni all’interno di un insediamento già esistente, quello di Nof Zion, colonia sotto forma di complesso residenziale, dove vivono ebrei ortodossi. Negli anni passati la Corte Suprema israeliana aveva rigettato il ricorso dei residenti palestinesi dei quartieri vicini che rivendicavano la proprietà delle terre dove il complesso è stato costruito.
A partire dal 2011 di case ne sono state costruite 91 delle 480 pianificate in origine a causa delle difficoltà a convincere israeliani a muoversi dentro il quartiere palestinese, una scelta compiuta in genere da fanatici o estremisti ideologici. Ora interviene una compagnia straniera privata, la Shemini Properties: ha chiesto al Comune permessi per la costruzione di 13 edifici per un totale di 176 appartamenti. Dietro, scrive l’associazione israeliana Peace Now, ci sono il noto imprenditore israeliano Rami Levi (proprietario di un enorme catena di supermercati, molti dei quali costruiti all’interno di colonie in Cisgiordania) e il multimiliardario australiano Kevin Bermeister, vicino alle visioni estremiste e religiose dell’ultra destra israeliana e già responsabile del finanziamento di altri progetti coloniali a Gerusalemme est.
Se approvato, spiega Peace Now, si tratterebbe della più grande colonia costruita nella parte araba di Gerusalemme: supererebbe le 200 famiglie che vivono nell’insediamento di Ma’ale Hazeitim.
“Non è una questione immobiliare, ma politica, di sovranità – scrive nel suo rapporto Peace Now – Israeliani che si trasferiscono in case all’interno dei quartieri palestinesi sono motivati solo dall’ideologia e dal tentativo di impedire un compromesso futuro su Gerusalemme”. La prova, aggiunge l’associazione, sta proprio nelle difficoltà passate nel vendere le abitazioni già costruite: non si tratta, dunque, di un mero interesse economico, ma politico.
Mentre usciva il rapporto di Peace Now, i due membri della famiglia Shamasneh (Muhammad, 45 anni, e il figlio Diran, 23), arrestati martedì, venivano rilasciati. La famiglia è stata cacciata dalla casa in cui ha vissuto negli ultimi 53 anni su ordine delle autorità israeliane che hanno consegnato l’abitazione a dei coloni.
Al centro la lunga battaglia che ha come oggetto il quartiere palestinese di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme est, da decenni nel mirino delle organizzazioni di coloni che rivendicano per sé la proprietà delle abitazioni, molte delle quali abitate da palestinesi dopo che i proprietari (palestinesi) fuggirono durante la Nakba. I coloni affermano che le case in questione erano di proprietà ebraica nei primi decenni del Novecento e che ora vanno restituite, una richiesta che mai è stata applicata ai proprietari palestinesi rifugiati che hanno perso tutto (le loro proprietà sono passate allo Stato) né ai palestinesi considerati “presenti assenti”, ovvero ancora su territorio israeliano ma sfollati.
La protesta non violenta della comunità palestinese, fuori dalla casa degli Shamasneh, prosegue da giorni, mentre un comitato locale ha invitato tutti a organizzare lì la preghiera tradizionale del venerdì. Una battaglia lunga e difficile, che vede le corti israeliane in prima fila nella cacciata delle famiglie palestinesi: dal 2009 ad oggi oltre 60 palestinesi sono stati sfrattati dalle proprie abitazioni.
Mercoledì è intervenuto l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, Unrwa: “Sono sconcertato – ha detto il direttore dell’Unrwa, Scott Anderson – dalla ripresa degli sfratti a Sheikh Jarrah e particolarmente preoccupato dall’impatto umanitario su questa famiglia di rifugiati [gli Shamasneh]. I rifugiati palestinesi, che hanno già subito il trasferimento forzato, non dovrebbero essere soggetti a sfratti”.
Secondo i dati delle Nazioni Unite, sono 180 le famiglie palestinesi (818 persone, di cui 372 bambini) a rischio di trasferimento forzato a Gerusalemme est.