Rischio di genocidio nel cuore dell’Africa
L'Osservatore Romano
L’allarme lanciato dal vice segretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, Stephen O’Brien, di fronte alle persecuzioni della popolazione civile e agli scontri tra gruppi armati che sono ripresi con intensità nel paese
Nella Repubblica Centrafricana ci sono «segnali precursori di genocidio». È quanto ha affermato ieri il vice segretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, Stephen O’Brien, di fronte alle persecuzioni della popolazione civile e agli scontri tra gruppi armati che sono ripresi con intensità nel paese africano, uno dei più poveri al mondo e in preda alla guerra civile dalla fine 2012. Decine di persone sono state uccise nelle ultime settimane in scontri a Ngaoundaye e a Batangafo, nel nord; a Kaga-bandoro, nel centro; a Alindao e a Gambo, nel sud, dove, insieme con altre persone, sono stati trucidati anche tre operatori della Croce rossa internazionale. Drammatica la testimonianza del vescovo di Bangassou, lo spagnolo Juan José Aguirre Muñoz, che ha diffuso la notizia della brutale uccisione di una cinquantina di cristiani in un villaggio della sua diocesi. Il presule ha anche espresso viva preoccupazione per la sorte di oltre 2000 musulmani, attualmente sotto la sua protezione, che potrebbero presto essere presto bersaglio di una ritorsione.
In una riunione delle Nazioni Unite a New York, lunedì scorso, O’Brien ha sollecitato «un’azione immediata per contenere la crisi, prima che sia troppo tardi». In questi giorni dovrebbe arrivare la richiesta al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di aumentare le truppe a disposizione della missione locale dell’Onu (Minusca), che conta attualmente circa 12.500 uomini e il cui mandato, secondo le scadenze previste, dovrebbe essere rivisto in autunno.
Sotto gli occhi dei caschi blu, il popolo centrafricano vive un’autentica catastrofe umanitaria, tra le violenze perpetrate da esponenti del gruppo Seleka, che affermano di voler difendere la minoranza musulmana, e gli anti-Balaka, gruppo ritenuto a maggioranza cristiana. Di fatto — stando al parere degli analisti — lo stato controlla soltanto due province su 14 e oltre il 20 per cento della popolazione risulta sfollata. Si contano oltre 600.000 sfollati e 480.000 rifugiati scappati nei paesi limitrofi, tra cui Camerun, Ciad e Repubblica Democratica del Congo. E il flusso continua: solo dal 10 luglio scorso, sono arrivati in Camerun 6800 centrafricani.
Atrocità contro la popolazione continuano a essere commesse da quando il paese, alla fine del 2012, è scivolato in una guerra civile che non riesce a superare. Il conflitto è scoppiato quando l’allora presidente François Bozizé è stato rovesciato da una coalizione di gruppi di ribelli poi definitasi Seleka. I vari cessate il fuoco e i tentativi di accordo tra ribelli e governo vengono sistematicamente smentiti da scontri tra fazioni armate e da stragi ai danni della popolazione inerme. Da circa un anno le violenze sono riprese pesantemente, dopo la speranza di pacificazione che aveva portato a libere elezioni.
Osservatore Romano
9 agosto 2017