Ius soli: questa legge s’ha da fare


Marco Tarquinio - Avvenire


Non è affatto una bella notizia, anzi è una notizia che riempie di tristezza, l’incapacità dichiarata del Parlamento della Repubblica di completare prima della cosiddetta “pausa estiva” l’iter della legge sullo ius culturae (o ius soli temperato)


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Non è affatto una bella notizia, anzi è una notizia che riempie di tristezza, l’incapacità dichiarata del Parlamento della Repubblica di completare prima della cosiddetta “pausa estiva” l’iter della legge sullo ius culturae (o ius soli temperato). È il risultato amaro della propaganda meschina e a tratti odiosa che nei mesi scorsi è stata scatenata sul piano politico e mediatico contro una normativa che rappresenta il sano e ragionevole strumento con cui finalmente si sta arrivando a segnare in modo certo, sensato e civile la via alla cittadinanza dei “nuovi italiani”. Di persone cioè che – secondo il testo già varato dalla Camera e all’esame del Senato – sono nate in Italia e/o qui stanno studiando, che parlano la nostra lingua, che hanno anche i nostri costumi e i cui genitori, residenti nel nostro Paese da tempo, non hanno commesso reati, qui lavorano e qui pagano contributi e tasse.

Se ne parla come di un semplice rinvio all’autunno, deciso per varare la legge in un momento più propizio e meno “rovente” (sia dal punto di vista meteorologico, sia politico e polemico). Un mero slittamento tattico, concordato da Partito democratico (che spinge per il “sì”) e Alternativa popolare (che appare divisa, alla faccia della sua rivendicata indole moderata e ispirazione cristiana, tra un mediocre “nì” e un cinico “no”) motivato dalla preoccupazione di «non mettere a rischio la tenuta» dell’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni. Mah… Se fosse davvero e solo così, poco male. Non saremo certamente noi a menare scandalo se, per non far cadere inopinatamente il Governo in carica, i signori dei partiti e del Parlamento si dovessero prendere appena qualche settimana di riflessione in più per definire meglio una legge attesa da tanto e ormai più che matura.

Ma questa melina non convince, non rassicura e dà da pensare. E non possiamo proprio rinunciare a ripetere ancora una volta che non c’è mai un momento migliore e sempre di là da venire per fare ciò che deve essere fatto per onestà, per giustizia e per il bene del Paese. In questi casi, il momento è sempre adesso, anzi lo era già ieri…. Ed è chiaro come il sole che non arriverà mai troppo presto il giorno in cui ci risolveremo, anche per legge, a riconoscere come italiani giovani che già italiani sono. Bambini e ragazzi sui quali l’Italia sta investendo risorse di istruzione e di welfare. Che frequentano scuole italiane e giardini e piazze e oratori italiani assieme ai nostri figli, che sono loro compagni di giochi e di studio e che saranno loro compagni di vita e di lavoro. Concittadini, insomma, dentro la misura fissata dalla Costituzione e dalle leggi della Repubblica. Misura che dobbiamo deciderci a rendere completa e salda.

Per questo il rifiuto calcolato e l’offensiva negazione dell’italianità di una parte della nostra gioventù è un’autentica bestemmia contro l’Italia. E checché si dica e si stradica da parte di politici irresponsabili – che, per puro interesse elettorale, agiscono da spacciatori di sospetti e di irreparabili antagonismi – questa linea xenofoba farà solo male al nostro Paese e all’Europa intera. Se gli aspri ritornelli contro gli “invasori” dovessero essere scanditi e amplificati ancora dal sistema dei media, sino a solidificarsi in un “muro” capace di bloccare la legge sullo ius culturae, si finirebbe per alimentare sentimenti di estraneità reciproca, per eccitare sfiducia e contrapposizioni, per nutrire amarezze e delusioni e per rendere più dura la civile convivenza dei diversi e uguali che abitano oggi e domani abiteranno, e saranno chiamati a custodire, l’Italia. Per di più, si dilapiderebbe un grande patrimonio nazionale.

Come si nota, sinora ho usato ripetutamente il condizionale. Ma, ahinoi, è un fatto drammaticamente lampante che il lessico dei “negazionisti” umilia e divide le persone, tutte e soprattutto le più giovani che non capiscono e non accettano chi grida loro in faccia di volerli “espellere” dalla storia italiana che stanno contribuendo a scrivere.

E c’è dell’altro: quegli slogan, assediano di sfiducia e “picconano” l’idea stessa che la cultura italiana – e il positivo stile di vita personale e comunitario che da essa discendono – siano un bene condivisibile e capace, oggi come ieri, di pacificamente (anche non necessariamente in modo facile) attrarre e conquistare a sé. Un’idea preziosa, che ha radici profonde nella grande tradizione cristiana della nostra gente.

Dobbiamo imparare a gestire ovunque con efficienza, solidarietà, rigore e lungimiranza le migliaia di richiedenti asilo che giungono sulle nostre coste, ma questo nulla c’entra con il diritto alla piena cittadinanza di chi da tempo in Italia regolarmente vive, studia, lavora e contribuisce e ancor meno con le politiche a sostegno delle famiglie con figli e dei vecchi e nuovi poveri che da queste colonne, a lungo inascoltati ma in tenace ascolto della nostra società, sollecitiamo da anni. Chi fa politica – in area di governo o di opposizione, non ci sono responsabilità inferiori – se sul serio ha a cuore il domani dell’Italia, deve saper mettere in campo l’onestà e il coraggio per dire e spiegare tutto ciò all’opinione pubblica. Chi non lo farà seminerà vento, e costringerà le nuove generazioni a raccogliere tempesta. E questo non può e non deve accadere: l’autunno porti veramente i frutti che questa strana e caldissima estate ha negato.

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