Fuorilegge le armi nucleari
Avvenire
Cinque minuti di applausi per il divieto che proibisce anche la «minaccia dell’uso» di tali arsenali e sancisce l’«assistenza alle vittime». L’Italia tra i grandi assenti con i nove Paesi nucleari
Cinque minuti di applausi e le lacrime del presidente della Conferenza, la costaricense Elyane Whyte, hanno segnato l’approvazione del trattato che da oggi vieta ogni tipo di arma nucleare. Con 122 voti a favore, un contro e un astenuto, il disarmo i Paesi riuniti all’Assemblea generale Onu di New York hanno deciso di rendere illegali le armi atomiche. In prima battuta, si è cercato di far passare il testo per consenso. I Paesi Bassi, però – unica nazione Nato presente al vertice – si sono messi di traverso e hanno chiesto il voto formale. E’ presumibile che sia suo, dunque, l’unico no espresso. Un “dovere” come membro dell’Alleanza. Non è un mistero l’opposizione delle potenze nucleari al bando. Tutte: sia le cinque riconosciute dal Trattato di non proliferazione, del 1968 – Usa, Russia, Francia, Gran Bretagna e Cina – e le quattro non ufficiali: India, Pakistan, Israele e Corea del Nord. Queste non hanno partecipato ai lavori di NewYork, come i loro alleati.
Il via libera è, dunque, un traguardo storico. Anche perché fino all’ultimo, l’approvazione ha rischiato di slittare quantomeno di qualche mese. Mercoledì la maratona negoziale è andata avanti fino a sera inoltrata: oggetto del contendere la spinosa questione del “ritiro” dall’impegno. Il blocco maggioritario di Stati – incalzato dalla società civile – ha cercato di stralciare in tutto o in parte il controverso articolo 17. Quest’ultimo – nei comma 2 e 3 – dà la possibilità ai Paesi aderenti di recedere in caso «eventi straordinari legati all’oggetto del trattato» ne abbiano «compromesso gli interessi supremi». Un controsenso – affermano gli attivisti antinucleare –: nessun interesse può giustificare il ricorso all’atomica. «Il ritiro da qualunque obbligo internazionale, inoltre, è già previsto dalla legge di Vienna. Non era necessaria un’ulteriore specifica», precisa Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Diisarmo che, insieme a Senz’Atomica, ha curato la traduzione in italiano della bozza definitiva e sta seguendo l’evento di New York. L’intransigenza di Algeria, Bangladesh, Egitto, Iran, Filippine, Svezia – capofila del blocco pro articolo 17 –, tuttavia, ne ha impedito l’eliminazione. La clausola, dunque, è rimasta. «Un’ombra che, però, non inficia la “luce” rappresentata nel complesso dall’accordo raggiunto», spiega Vignarca ad Avvenire. Già dal preambolo emerge la portata storica del divieto. Esso completa un lungo percorso che affonda le proprie radici nella stessa Carta di San Francisco, da cui è nata l’Onu. La necessità di uno strumento giuridicamente vincolante deriva dalla lentezza con cui è proceduto il disarmo nucleare e dalle sproporzionate nonché catastrofiche conseguenze che tali tipo di armamenti hanno sugli esseri umani, in particolare sui popoli indigeni. Vengono, inoltre, riconosciuti il dolore delle vittime e gli sforzi della società e delle sue organizzazioni per bandire tali strumenti di distruzione di massa.
«Il cuore del trattato è l’articolo 1. Esso vieta di sviluppare, testare, produrre, acquisire, possedere ma anche trasferire o ricevere il trasferimento, consentire la dislocazione, incoraggiare, indurre, assistere, ricercare. Non è fatto, poi, esplicito divieto solo dell’impiego delle testate. Anche la “minaccia d’uso” è proibita ». Un colpo al cuore della dottrina della deterrenza che sancisce un “diritto all’atomica” delle principali potenze a scopo dissuasivo. Altro punto cruciale è l’articolo 4. «Si capisce già dal titolo: “verso la totale eliminazione delle armi nucleari”. Il bando è la premessa necessaria per svuotare concretamente gli arsenali. Là si dice come garlo».
Il documento, inoltre, garantisce una specifica assistenza ai colpiti dall’uso di armi o dalla sperimentazione atomica, sancisce la necessità di bonifica ambientale (articolo 6) e impegna gli Stati parte a farsi promotori del bando presso gli altri Paesi, in modo che il trattato raggiunga l’universalità (articolo 12). Un obiettivo che si scontra con l’opposizione delle nazioni nucleari. E dei loro alleati, fra cui l’Italia, assente dalla Conferenza. «Chiuso l’accordo, da oggi comincia la nostra battaglia per l’adesione italiana. Non sarà facile ma in Parlamento una certa sensibilità sul tema c’è». Un passo intermedio potrebbe essere quello di ottenere un appello non vincolante di quest’ultimo al governo perché cambi posizione, sul modello di quello appena fatto dalle Cortes spagnole. «Sarà un’estate intensa», conclude l’attivista. Le firme di adesione inizieranno ad essere raccolte il 20 settembre. Il bando entrerà in vigore entro 90 giorni da quando sarà ratificato da 50 Paesi.