Colonie, lo scontro arriva alla Corte Suprema
Michele Giorgio
Il premier israeliano Netanyahu non teme le critiche internazionali alla legge-sanatoria degli avamposti coloniali. Lo preoccupa solo il ricorso alla Corte Suprema israeliana presentato da due Ong per conto di 17 municipalità palestinesi.
Onu, Unione europea, Paesi alleati, ong locali e internazionali dei diritti umani contestano il Regulation Bill, la legge approvata dalla Knesset che regolarizza circa 4.000 case negli avamposti ebraici coloniali. Eppure Benyamin Netanyahu non fa una piega. Il premier israeliano la giornata di ieri l’ha trascorsa a catechizzare gli ambasciatori africani. «Il primo interesse è quello di cambiare radicalmente la situazione dei voti africani alle Nazioni Unite e in altri organismi internazionali» ha spiegato Netanyahu ai diplomatici riferendosi all’Assemblea generale dell’Onu dove i Paesi arabi spesso raccolgono consensi contro Israele. Non che il primo ministro sia intimorito dalle risoluzioni internazionali, vecchie e nuove, sui territori palestinesi occupati. Israele comunque non le rispetta. Non lo preoccupano più di tanto le critiche giunte ieri anche dall’alleata Germania, protettrice di Israele in Europa. E con ogni probabilità ha letto senza particolare interesse le dichiarazioni del presidente palestinese Abu Mazen che minaccia il ricorso alla Corte penale dell’Aja e la sospensione del coordinamento di sicurezza con Israele. Il premier tiene conto solo delle sentenze dei giudici israeliani. Diversi esponenti della maggioranza perciò premono sulla Corte Suprema che potrebbe dichiarare illegittima la sanatoria degli avamposti in Cisgiordania e paralizzare un disegno politico che vuole estendere la sovranità israeliana sui principali blocchi di insediamenti ebraici nei territori occupati. Naturalmente con la benedizione della nuova Amministrazione americana.
La battaglia legale in Israele si annuncia incandescente. Ieri due Ong, Adalah e il Centro israeliano per i diritti civili, rappresentanti 17 municipalità della Cisgiordania – in possesso della documentazione relativa alla presenza di colonie su terre private palestinesi -, hanno presentato ricorso alla Corte suprema affermando che la nuova legge è in contrasto col diritto internazionale ed umanitario e incompatibile anche col sistema legale israeliano poiché viola il diritto di proprietà dei palestinesi. «Costoro – affermano le due Ong – si trovano alla mercè altrui, privi di difese legali, esposti al rischio di essere privati delle loro proprietà a beneficio dei coloni israeliani». Lo scopo evidente della legge, proseguono, «è la volontà di preferire gli interessi di questo gruppo», ossia i coloni israeliani che occupano quelle terre. In casa palestinese il ricorso alla Corte suprema è stato dibattuto e non poco, perché di fatto rappresenta un riconoscimento del ruolo del sistema legale israeliano in questioni che riguardano lo status dei territori occupati definito da risoluzioni internazionali. La Corte Suprema peraltro ha spesso emesso sentenze a vantaggio dei coloni, in particolare a Gerusalemme est, e delle politiche di occupazione sulla base di considerazioni di sicurezza. Alla fine però i palestinesi hanno deciso di seguire ugualmente la strada che porta ai massimi giudici israeliani, tenendo conto che il Consigliere legale del governo, Avichai Mandelblit, potrebbe decidere di sostenere il ricorso ed opporsi anch’egli alla nuova legge. «I giudici hanno trenta giorni di tempo per dare una risposta», ha spiegato l’avvocato di Adalah, Suhad Bishara, aggiungendo che la sua Ong ha chiesto alla Corte di congelare l’applicazione della nuova legge fino alla sua sentenza definitiva.
I palestinesi appaiono sempre incerti su cosa fare. I vertici dell’Anp non hanno preparato una strategia nei due mesi trascorsi tra la vittoria di Donald Trump e l’ingresso del nuovo presidente alla Casa Bianca. Eppure i segnali erano chiari. Trump non esagerava quando ripeteva di voler dare carta bianca a Israele nel quadro di una rinnovata e ancora più stretta alleanza con lo Stato ebraico. Il tycoon, tre settimane dopo l’inizio del suo mandato, non ha ancora preso alcun contatto con i palestinesi e non ha neppure risposto alla lettera che gli aveva inviato a metà gennaio Abu Mazen riguardo alla possibilità di un trasferimento a Gerusalemme dell’ambasciata degli Stati Uniti in Israele. Trump la prossima settimana vedrà Netanyahu alla Casa Bianca e, stando a quando dicono fonti dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen aspetta l’esito di quell’incontro per prendere delle decisioni. Le fonti tuttavia escludono che il presidente scelga di andare alla rottura con gli Usa e di interrompere il coordinamento di sicurezza con Israele, come gli chiedono diversi dirigenti del suo partito, Fatah, e le opposizioni di sinistra.
Fonte: il Manifesto
9 febbraio 2017