Stalking e violenza, un caso aperto
Silvia Brugnara
In un anno 152 donne uccise (di cui 117 da un familiare). Tanti si soffermano a guardare questo fenomeno in superficie, si concentrano sul “come” accade un femminicidio senza chiedersi “perché succede?”
In Italia…
- 6 milioni 788mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale (dati Istat 2015)
- 3 milioni e 466mila donne hanno subito stalking (dati Istat “Stalking sulle donne” 2014)
- 2 milioni e 151mila donne hanno subito comportamenti persecutori da parte di un ex partner nell’arco della propria vita (dati Istat “Stalking sulle donne” 2014)
Il 25 novembre si celebra la “Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne” durante la quale vengono ricordati tragici episodi di donne vittime di violenza psichica e fisica. A volte la violenza subita è silente, nascosta e si radica nelle abitudini di coloro che pensano sia “normale”. E non lo è affatto. Non è “normale” essere pedinate, minacciate e controllate sistematicamente. Non è “normale” essere punite in quanto donne, come non lo è essere aggredite o percosse.
Dall’indagine pubblicata dall’Istat il 24 novembre 2016 si evince che nel 2014 le donne (tra i 16 e 70 anni) che hanno subito comportamenti persecutori da parte di un ex partner sono state 2 milioni e 151mila su un totale di 3 milioni e 466mila che hanno subito stalking (partner o meno).
Lo stalking è spesso un campanello di allarme che, nel peggiore dei casi, preannuncia un fatto più grave: l’omicidio. In un anno, secondo il Rapporto Eures 2014, sono state 152 le donne uccise di cui 117 da una persona di famiglia.
Spesso il movente è definito “passionale”, altro termine che, adottato in questo contesto, fa venire i brividi poiché la passione non ha nulla a che fare con la violenza, né tantomeno con l’amore. Oltre la capacità di distinguere la violenza da un sentimento d’amore, è necessario trovare anche il coraggio di denunciarla. Quante volte sentiamo dire o leggiamo “è stata uccisa dopo una lite dal fidanzato, era geloso”. Ma è possibile che da una lite si arrivi a una violenza così atroce? È possibile che la gelosia porti all’uccisione di una donna? Probabilmente qualcosa non funziona o sfugge, oppure, non si vuole vedere. Da dove viene questa “cecità”, dalla cultura? Ma soprattutto, si può fare prevenzione?
Abbiamo raccolto informazioni su alcuni gravi casi di stalking e ascoltato il parere di Luciano Garofano, ex Comandante dei Ris di Parma e generale in congedo dell’Arma dei Carabinieri, docente universitario e Presidente dell’Accademia Italiana di Scienze Forensi.
Spesso ci sono degli indicatori ai quali le donne dovrebbero porre attenzione prima di ritrovarsi a vivere una storia con un partner “pericoloso”. Il Gen. Garofano sostiene che “Il primo indicatore, nonché denominatore comune di tante violenze verso le donne, è la gelosia. Tante donne pensano che la gelosia sia un atto d’amore ma non lo è. Parliamo di gelosia morbosa, dal divieto di uscire con le amiche alla privazione totale della libertà. Questo deve essere il primo indicatore per far riflettere le ragazze su chi frequentano. E questo dovrebbe interessare anche i genitori, soprattutto delle più giovani.
Un altro indicatore è il disinteresse di un ragazzo o un uomo verso lo studio o il lavoro. In sostanza si tratta di un certo “qualunquismo” e mancato interesse per la vita quotidiana. Gelosia e carenza di impegno possono essere considerate come cose “normali” nella vita di un giovane ma invece non è così, soprattutto a completamento di un quadro dove si sono già emerse problematiche psicologiche, dipendenze da droghe o alcol.”
Tanti si soffermano a guardare questo fenomeno in superficie, si concentrano sul “come” accade un femminicidio senza chiedersi “perché succede?”. Un quesito al quale il Gen. Garofano, risponde: “La maggior parte dei femminicidi avviene nell’ambito di una relazione difficile dove l’uomo uccide la donna in quanto tale perché non la considera come essere complementare a sé e, a il fine più nobile nella realizzazione della propria vita. Ma la vede come “qualcosa” di sua proprietà, perché pensa di averla ottenuta, proprio come fosse un oggetto.”
Possiamo affermare quindi che un rapporto uomo-donna sano non implica possesso ma ben altro che nulla ha a che fare con la violenza. Cito dunque lo psichiatra Massimo Fagioli, che in un’intervista di Ilaria Bonaccorsi sul settimanale Left (11 giugno 2016) sostiene che si tratta di “un rapporto duale, un rapporto di violenza in cui non esiste l’accettazione della differenza, per cui l’altro diverso – che in questi casi è la donna sempre più autonoma e realizzata – non deve esistere. Perché il diverso è lui (se stesso), il massimo che realizzano questi uomini è l’identificazione, ma nemmeno: realizzano lo specchio, l’anaffettività più completa, per cui se ne va via l’immagine, si allontana dallo sguardo, impazziscono perché perdono la propria immagine. E infatti lo dicono sempre: il possesso. Ma il possesso non è amore.”
“O stai con me o con nessun altro”, queste sono le parole di uno stalker, diventato poi omicida. Si tratta di un caso di cui ci parla il Gen. Garofano, quello di “Silvia Mantovani, una ragazza che voleva entrare a far parte dei RIS, la quale iniziò una relazione con un coetaneo di Parma che fin da subito esibì gelosia nei suoi confronti. Dopo le aggressioni e lo stalking, né conseguì l’omicidio di lei, che evidenziò anche una responsabilità indiretta da parte della famiglia. Quella famiglia non volle vedere tentò di mettere tutto a tacere, banalizzando i comportamenti del figlio invece di avviarlo ad un percorso di recupero.”
“Aprire gli occhi” è forse il primo passo verso la prevenzione, riconoscere una situazione di pericolo e affrontarla. E poi il coraggio di chiedere aiuto ai genitori, ai centri antiviolenza e alle Autorità.
A questo proposito il Gen. Garofano ci pone davanti ad una riflessione: “immagina che in questo momento ci sia una ragazza che, vincendo tutte le resistenze del caso, decida di recarsi presso un presidio ospedaliero o alle Forze dell’Ordine a denunciare una violenza subita: siamo certi che questa donna riceva la giusta assistenza?” – e aggiunge: “è necessario che ci sia una persona preparata ad accoglierla. Anche in questo caso, la nuova legge che puntava molto sulla specializzazione degli operatori, non ha avuto un gran seguito.
Non è sufficiente, dunque, che ci sia soltanto un luogo di riferimento per le vittime ma che ci siano soprattutto persone competenti. Garofano, infatti, sostiene: “penso che ci voglia innanzitutto una preparazione specifica, da parte delle Forze dell’Ordine, dell’Autorità Sanitaria, dell’Autorità Giudiziaria. Occorre anche aumentare i pool di magistrati dedicati esclusivamente a questo tipo di reati e i codici rosa presso tutte le strutture ospedaliere.”
Quindi un altro passo verso la prevenzione è “tenere gli occhi aperti” in famiglia e a scuola, i principali luoghi di educazione e formazione dei giovani; e sperare che si creino sinergie tra le Istituzioni e il personale competente (forze dell’ordine, avvocati, magistrati, medici, psicologi e docenti) al fine di divulgare una nuova cultura.
Fonte: www.articolo21.org
25 novembre 2016