Italia: esportare armi per abbattere i costi, cambiando la legge


Giorgio Beretta - unimondo.org


Ecco i punti principali della “Relazione Esercizio dell’AIAD”, la potente Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza.


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Italia: esportare armi per abbattere i costi, cambiando la legge

“Le esportazioni militari rappresentano una componente di primaria rilevanza per la politica estera ed industriale nazionale” anche perché “contribuiscono a diminuire i costi per il contribuente nazionale, dal momento che consentono di distribuirli sulle serie produttive per clienti esteri”. Lo si legge nell’ultima Relazione Esercizio dell'AIAD, la potente Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza.
La Relazione descrive uno scenario preoccupante a causa degli “effetti dirompenti” della crisi economica mondiale, ma riporta chiare note di fiducia soprattutto grazie alle esportazioni militari. “Il rapido deteriorarsi del quadro economico internazionale e delle tensioni tra i Paesi che caratterizza i primi mesi del 2010, ha portato ad un contesto di crisi che preannuncia effetti dirompenti per tutti i settori dell’economia, ivi compreso il comparto della difesa e sicurezza e del trasporto aereo” (pg. 9). In questo contesto “gli annunciati quanto inevitabili tagli agli investimenti da parte di molti Governi europei, investimenti essenziali per l’innovazione e la sicurezza, impatteranno pertanto sul settore della difesa i cui principali clienti sono gli Stati” (pg. 10). La Federazione segnala inoltre che in ambito europeo “il ricorso all’integrazione è finora fallito per i diversi interessi nazionali e le pretese di dominio di alcuni attori”.
Note di fiducia, invece, si leggono a proposito delle esportazioni e soprattutto di quelle militari che la Relazione definisce spesso con un eufemismo “tecnologie della difesa”. “Facendo riferimento alla situazione complessiva del 2009, il mercato della difesa nella sua globalità e per le sue caratteristiche ha continuato a mostrare, rispetto all’anno precedente, una sostanziale solidità e tenuta. Infatti la crisi del credito ha avuto effetti diretti solo marginali sulle previsioni di investimento nella difesa” – riporta la Relazione (pg. 10). Un andamento di “stabilità o anche di crescita” degli investimenti per difesa e sicurezza viene segnalato in particolare nel Medio Oriente ed in Asia (priorità alla sicurezza in aree di crisi), ma anche negli Stati Uniti ed in alcuni Paesi dell’Europa, mentre per l'Italia, l'AIAD evidenzia con un certo rammarico che “purtroppo non appare tra i Paesi virtuosi (sic! – ndr) che considerano la sicurezza nazionale come la priorità, con evidenti contrazioni nei bilanci per la difesa e per la ricerca e sviluppo” (pg. 10).
“Continua – nota quindi la Relazione – a risultare significativo e fondamentale a fronte della ristrettezza e stagnazione della domanda domestica, l’apporto delle esportazioni del comparto, in crescita nel 2009, ripartiti in modo bilanciato tra attività civili e militari considerate al netto delle cooperazioni intergovernative internazionali militari e spaziali che valgono mediamente 1,5-2 miliardi di euro”. L'AIAD stima che il settore manifatturiero delle “alte tecnologie” fornisce “storicamente un surplus intorno a 4,5 miliardi di euro a beneficio della bilancia commerciale nazionale” (pg. 15). E, “in particolare le esportazioni militari rappresentano una componente di primaria rilevanza per la politica estera ed industriale nazionale” anche perché “contribuiscono infine a diminuire i costi per il contribuente nazionale, dal momento che consentono di distribuirli sulle serie produttive per clienti esteri”. In una parola, secondo l'AIAD, più l'industria militare esporta armamenti, più il contribuente italiano risparmia: una logica… disarmante.
Come avevamo già segnalato su Unimondo, anche l'AIAD evidenzia quindi che nel 2009 nel settore dell’export militare si è registrato “un cospicuo incremento delle autorizzazioni che hanno totalizzato 4,9 miliardi di euro (+60%), al netto delle autorizzazioni (1,8 miliardi) per i programmi intergovernativi” (pg. 16): l'Associazione sottolinea però che tale incremento dipende non solo dalle “capacità tecnologiche ed industriali italiane”, ma anche dalla “promozione commerciale realizzata a livello Paese”. Un incremento che – come avevamo già evidenziato su Unimondo – riguarda non solo il “portafoglio d'ordini”, cioè le autorizzazioni governative all'export militare, ma le effettive consegne di armamenti che nel 2009 hanno registrato un “aumento del 24%, pari a 2,2 miliardi di euro”.
In effetti come ho dimostrato in uno studio che analizza venti anni di esportazioni di armamenti italiani (in .pdf) recentemente pubblicato da “Aggiornamenti Sociali” nel 2009 l'export militare non solo ha raggiunto la cifra record dall'entrata in vigore della legge 185/90, ma l'Italia va sempre più occupando una posizione di rilievo sia a livello internazionale sia – soprattutto – a livello europeo. Un dato confermato, per gli ultimi anni, anche dal recente Rapporto al Congresso degli Stati Uniti che attesta l'Italia tra i cinque maggiori fornitori internazionali di armamenti convenzionali con contratti stipulati nel 2009 prevalentemente con Paesi emergenti e in via di sviluppo.
Esportazioni alle quali il Governo intende ora dare un nuovo impulso attraverso il “riordino” della normativa attuale: il 17 settembre scorso il Consiglio dei Ministri ha infatti approvato un “disegno di legge” che delega al Governo la riforma della legge 185 del 1990. Tale disegno di legge – si legge nella nota di Palazzo Chigi – “sviluppa e riordina la materia del controllo sull’esportazione e sul trasferimento dei prodotti per la difesa”. Il provvedimento intenderebbe “salvaguardare rigorosamente i principi della normativa in vigore (la legge 185/1990)” ma anche introdurre “semplificazioni normative e procedurali tali da rendere le norme più consone alle mutate esigenze del comparto per la difesa e la sicurezza, sia istituzionale che industriale”. Quali siano queste “semplificazioni” non è dato di sapere visto che a quasi due settimane dall’annuncio il disegno di legge non è ancora stato reso disponibile.
C’era comunque da aspettarselo considerato che – come avevamo puntualmente segnalato su Unimondo già dallo scorso marzo – l’ultimo Rapporto della Presidenza del Consiglio sui lineamenti di politica del Governo in materia di esportazione di armamenti dedicava un intero capitolo al “processo di riordino” della normativa nazionale relativa al controllo sulle esportazioni e trasferimenti di prodotti per la difesa, cioè – appunto – alle esportazioni di sistemi di armamento (cap. 2, pp. 23-25).
C’è però, nel recente comunicato da parte del Governo, una novità. Mentre il Rapporto suddetto segnalava che “è stata verificata l’opportuna strada perseguibile per un intervento correttivo di tutta la normativa in vigore” (p. 24) dalla nota del Consiglio dei Ministri si apprende che tale strada è stata definita nella forma di una “legge delega”. Riporta, infatti, la nota di Palazzo Chigi che “su proposta del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, del Ministro per le politiche europee, Andrea Ronchi, e del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini”, il Consiglio dei Ministri ha approvato il “Disegno di Legge” che tra l’altro conferisce la “Delega al Governo per la riforma delle disposizioni su autorizzazione alle operazioni di esportazione, importazione, transito, trasferimento, trasbordo, ed intermediazione dei prodotti per la difesa e per il riordino dei procedimenti nella materia di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185, e successive modificazioni”.
Grazie alla nuova legge potrà tirare un po’ il fiato anche Enzo Casolini, l’amministratore delegato di Eurofighter, il consorzio industriale che gestisce la produzione dei caccia multiruolo Typhoon. “Stiamo correndo come pazzi per cercare nuovi compratori in giro per il mondo” – ha affermato Casolini nei giorni scorsi in un incontro con alcuni giornalisti. Visti i tagli al programma già annunciati (dall'Italia) o che potrebbero arrivare (da Germania, Regno Unito e Spagna) il rischio è quello di chiudere anticipatamente la produzione con “un costo economico e sociale molto alto”. Insomma, che problema c'è se esportiamo un po' più armi? Stiamo un po’ tutti meglio, no?

Fonte: Unimondo.org

29 settembre 2010

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